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“Loro temono ciò che non conoscono e distruggono ciò che temono.”

La Teriaca

da | Giu 8, 2022

Foto dal Web

Non c’è scritto storico o romanzo che parli di medicina, che non nomini la Teriaca. Questa miscela prodigiosa, indicata per la cura di ogni male, dominò la farmacopea europea per due millenni, andando a costituire rimedio o colpo di grazia per milioni di pazienti sofferenti. Anche Draco ne parla, e non certo con parole di lode, in questo breve dialogo con Cécile che troviamo nel capitolo 15 di Memorie dal Buio – La Bestia.

«Per quanto la loro nascita e la diffusione sia stata attribuita all’influenza degli astri, alla punizione divina, a cause telluriche o marine, di fatto fece regredire la società e mostrò i limiti della medicina di allora, il suo totale fallimento nella capacità di curare. Troppo era il divario tra scienza teorica e pratica clinica. I medici non studiarono la malattia, ma prescrissero rimedi casuali, poco ragionati come le purghe d’aloe, i salassi, i fumigi, l’abusata teriaca.»
«Sì, ricordo, era per applicare la teoria degli umori, no? Usare una sostanza asciutta e fredda per opporsi alla pestilenza, che era umida e calda. Ingerita col vino credevano fosse veicolata nel cuore. Forse perché quando si beve vino si sente l’esofago bruciare proprio nella zona del cuore?»

Il nome Teriaca deriva dal greco (che strano eh?) e significa Antidoto, anche se alcuni la fanno risalire al sanscrito, dove significherebbe Salva. Si tratta di un polifarmaco, una miscela di lavorazioni e sostanze (oltre 60), che risultava indicato per curare i veleni prodotti nel corpo dalle malattie, qualsiasi esse fossero: dello stomaco, del capo, dei sensi, arrivando a essere indicato per conciliare il sonno e allungare la vita.

Foto dal Web, Mitridate

La diffusione della Teriaca in Europa avvenne grazie ai Romani, che la ripresero dall’Antidoto Universale di Mitridate. Il re del Ponto è da tutti conosciuto per la pratica che da lui prende il nome, il mitridatismo, che consiste nell’assumere piccole quantità di veleno con costanza, in modo da assuefare l’organismo al tossico. Il re non solo era appassionato di medicina, ma aveva l’ossessione (peraltro perfettamente comprensibile) di morire avvelenato. Insieme al suo medico, Crateva, mise a punto la Mitridatis Teriaca.

Oggi sappiamo che con alcune sostanze è possibile sviluppare vari livelli di assuefazione o resistenza (basti pensare alle droghe comunemente spacciate), ma per altre sostanze l’accumulo nel corpo è solo deleterio. Come finì la storia di Mitridate? Davanti all’invasione delle legioni romane guidate da Pompeo, si uccise. Con la spada!

La Teriaca romana, la cui ricetta è sopravvissuta fino al 1906, anno di produzione dell’ultimo lotto, venne messa a punto 100 anni più tardi da Andromaco, medico alla corte dell’imperatore Nerone, cui consegnò, insieme al farmaco, anche un poema di elegia in 174 versi della sua panacea. E noi che ci lamentiamo dei bugiardini dei nostri farmaci!

Il principio di molti ingredienti, come la carne di vipera, perseguiva l’idea del simila similibus, ovvero la credenza che una sostanza che genera il male (il veleno di vipera), contenga anche la forza di curare i suoi stessi effetti e, per estensione del concetto, conceda protezione da tutti gli altri veleni animali. Beata ingenuità…

La caratteristica composizione della panacea, con una media di 60 ingredienti, alcuni molto rari e soggetti a lavorazioni lunghe e impegnative, la rendevano un farmaco adatto a ricchi e danarosi malati, ma non mancarono di interessarsi ad essa anche gli Alchimisti del Medio Oriente, che vennero in contatto con la teoria della sostanza, quando il diffondersi del cristianesimo mise in odore di eresia tutti i medici formatisi sotto una filosofia ellenistica. Fuggiti in Mesopotamia, essi trovarono terreno fertile per continuare a lavorare.

Foto dal Web

Il formulario greco venne quindi tradotto in arabo e, dopo essere stata bandita dai cristiani, la Teriaca tornò in Europa attraverso le conquiste arabe in Spagna, Portogallo e nel sud della Francia, grazie a medici come Mesuè il Vecchio e Avicenna. Snodi chiave nello studio della farmacologia saranno in quegli anni di crociate ed epidemie, la scuola medica di Salerno e quella di Arles, in Provenza. Fu il periodo in cui speziali e farmacisti vennero distinti, come categoria lavorativa, dai medici, che si avvicinano più ad essere teorici e filosofi, piuttosto che coloro che con la pratica alleviano le sofferenze dei malati.

Questa nuova spinta culturale verso la medicina produsse anche l’effetto desiderato di uniformare ricettari, standardizzarli e rendere più sicure le preparazioni. Nel 1498 viene pubblicato il Ricettario Fiorentino, un antidotario ufficiale e sicuro.

Naturalmente la Teriaca era ben descritta al suo interno e spesso venivano organizzate sessioni pubbliche di preparazione della sostanza, specie nel periodo d’oro della panacea, tra il 1500 e il 1600. L’Italia creò un vero business di questa sostanza, che divenne una grande fonte di reddito per gli speziali e gli alchimisti italiani e la portarono a una grande diffusione anche tra i ceti meno abbienti.

Le cose cambiarono con Nicolas Lemery che nel suo trattato “Farmacpea Universale”, pubblicato a Parigi nel 1697, iniziò a trattare le molecole che compongono le sostanze e il loro effetto come singole entità, non più mescolate nelle brodaglie indistinguibili. Questo determinò il passaggio dalla Teriaca a formulazioni più semplici e dall’alchimia alla chimica. La Teriaca però non scomparve del tutto, specie nell’immaginario della gente comune, ma trovò una sua nuova versione detta “riformata”, più adatta alle nuove scoperte della medicina e diventò una notevole fonte di reddito nel borbonico Regno di Napoli quando Ferdinando IV la elesse a Monopolio di Stato nel 1779, obbligando i medici a comprarne almeno mezza libbra all’anno dall’unico produttore, la Reale Accademia di Scienze.

Alla fine cosa conteneva questa strana Teriaca? Ecco una tabella di Wikipedia.

Foto Wikipedia

Premesso che vi sono molte differenze tra regioni e luoghi, a causa delle differenze di traduzione, possiamo però comunque sempre dividere questi ingredienti in SEI compartimenti di elementi che vengono usati nel medesimo peso e nel medesimo numero. La Teriaca più ricca è quella dell’Antidotario Mantovano, che ha 65 ingredienti.

Vediamo ora la preparazione dalle parole di Andromaco il Vecchio, riportate da Galeno.

Tutte le cose delle sei prime classi si ammacchino un poco, pestando prima le dure, ed accompagnando alle secche le più umide, ed ontuose: così grossamente pestate , tutte in un gran bacile di rame si uniscano tramestandole diligentemente: poscia si pestino, passandole per staccio di seta fine: nel tempo medesimo si dissolva nel vino l’opio, il succhio di liquirizia, l’ipocistide, l’acacia, e colati si ispessino a forma di mele: parimenti il serapino, ed il galbano infusi per una notte in s.q. di vino e ben dissolti si colano, riducendoli a forma di mele: la terra lemnia, il bitume giudaico, e la calcitide, separatamente sieno macinati sul porfido con s.q. di vino, poscia uniti a forma di siroppo: e per finela storace si dissolva con l’opobalsamo, e terebinto a fuoco lentissimo, colandole per staccio di crena, se per avventura non fussero pure: preparata ogni cosa secondo le più sode leggi dell’arte si faccia la composizione. Spiuntato il mele, e presane per tre oncie di spezie una libra si rimetta in caldaia capacissima di rame stagnato sopra debol fuoco, agitando incessantemente con spatola di legno, vi si spargono le polveri: un po dopo riscaldati i succhi ispessati si aggiungono: poscia le gomme calde altresì: e dopo ben agitata la composizione, la storace squagliata a lentissimo fuoco, e per ultimi i macinati sul porfido, tramestando diligentemente per tre oredi seguito. La Theriaca si riponga in vasi di stagno, o di terra verniciati agitandola alcuna volta per otto dì continui. Si tenga benissimo chiusa per sei mesi successivi, né si adoperi prima senza ordine preciso del Medico, lo che si deve osservare in tutte le composizioni opiate. Dose da un scrupolo a tre. Conviene la Theriaca dove sia bisogno di riscaldare e moderare le irregolarità dello spirito dalle quali due proprietà deve conoscere il Medico a quanti mali può essere utile.

Cosa c’è dunque di vero nella Teriaca, da averne fatto la fortuna per due millenni? Direi la sua stessa composizione. Nella ricetta sono presenti sostanze note per i loro effetti farmacologici, come cannella, zenzero, genziana, finocchio, cardamomo, liquirizia ma, soprattutto, oppio, miele e vino. E’ ovvio che qualsiasi male uno avesse, avrebbe potuto trovare sollievo da almeno uno degli ingredienti, se non altro, vino e oppio permettevano sonni più tranquilli!

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