La Fata Verde, bevanda prediletta degli artisti del Decadentismo francese, divenuta piaga per gli alcolisti di tutto il XIX secolo, resta da sempre legata al proibito, ai fumosi locali parigini, a complessi rituali edonistici per la sua consumazione. Ma cos’è esattamente l’assenzio? Si tratta di una distillazione post macerazione delle foglie dell’Artemisia maggiore (Artemisia absinthium), cui vengono aggiunti anche altri aromi e olii essenziali provenienti da altre piante, in numero e proporzione variabile a seconda delle varie ricette: melissa, issopo, finocchio, anice, genepi, menta, artemisia pontica, vaniglia, camomilla, coriandolo, angelica e altre ancora.
Sebbene la Comunità Europea, togliendo il divieto di produzione, commercializzazione e consumo della bevanda, non abbia stabilito una ricetta univoca (e per fortuna direi), l’Assenzio ha degli ingredienti base (l’artemisia) e degli aromi aggiunti sia per il sapore (notoriamente amarognolo) che per il colore, ammissibile di tutte le sfumature della clorofilla. E proprio per mantenere stabile nel tempo la clorofilla (che esposta alla luce, dopo l’imbottigliamento, diverrebbe scura), è stabilito che la gradazione alcolica del prodotto debba essere tra il 45 e il 75%.
Per quanto riguarda la storia della bevanda, sebbene fosse conosciuta fin dall’antico Egitto e dalle cronache poi di Plutarco, ha raggiunto il suo apice nel XIX secolo come bevanda degli artisti maledetti e, pertanto, legata a complessi rituali di assunzione e a certi ambienti che riproducevano proprio quell’atmosfera onirica, tossica e triste che quel tipo di arte ossessivamente ricercava. Il distillato fu creato dal medico francese Pierre Ordinaire riparato in Svizzera, a Courvet, dopo la Rivoluzione Francese che ne intuì le potenzialità curative e creò così un tonico. Il successo della bevanda fu tale che, nel 1798 nacque in Svizzera la prima distilleria ufficiale, seguita più tardi dai francesi. Furono i soldati napoleonici a decretarne l’avvio a Parigi, ritornando dalle guerre coloniali dove veniva impiegata per uso medicinale antisettico. La Fata Verde spopolò tra le classi sociali meno abbienti, visto il costo contenuto rispetto ad altre produzioni prestigiose, che necessitavano invecchiamento, e anche la borghesia ne fu ammaliata.
Il 1800 può essere riconosciuto come un secolo di profonde crisi, anche se non è il solo a mio avviso, poiché ogni secolo ha le sue epidemie e le sue guerre, le sue destabilizzazioni e i profondi cambiamenti, ma quello che differenzia quel secolo credo sia la possibilità per tutti di trovare scappatoie per dare un senso alla vita, strappare un briciolo di serenità o un paradiso onirico in cui fuggire per ripararsi dai mali del quotidiano. E questo qualcosa è il farmaco, scoperto e diffuso a prezzi contenuti. E’ il caso della morfina, dell’oppio e anche dell’alcool. E cosa accade quando mettiamo insieme crisi sociale e sostanza stupefacente? Chiaramente un abuso smodato, favorito anche dal fatto che non erano ancora state teorizzate le dipendenze. Ed ecco che si diffondono le mode tipiche del XIX secolo che rivolge lo sguardo allo spiritismo, al vampirismo, all’alcolismo e alla dipendenza da oppio, fomentati da una corrente artistica Decadente che trovava nella Danza macabra una ragione di ispirazione. Se ci pensate bene, cari lettori, la fuga dalla realtà attraverso l’alcool o l’oppio non sono diversi dalla caccia alle streghe di medievale memoria o dal tabagismo più moderno, dalla dipendenza dal gioco d’azzardo o dalla cocaina o dalla compulsione creata dai telefonini di oggi.
L’assenzio nella società vittoriana divenne una bevanda così diffusa, che determinò la drastica riduzione del consumo di vino, Cognac, Whisky e altri liquori, scatenando una vera e propria guerra al prodotto. I governi europei, in diversi momenti, ma tutti più o meno sulla stessa onda puritana, decisero di vietare la produzione e la commercializzazione del liquore e, entro il 1915, al grido di “salviamo i cittadini dall’alcolismo”, l’assenzio entrò nel libro delle sostanze proibite e ci rimase fino alla sua recente rivalutazione. Attualmente infatti è tornato possibile trovare il prodotto in libera vendita.
La scusa cui si attaccarono, riguardava uno degli olii essenziali presenti nel prodotto, originato proprio dall’Artemisia maggiore, che ne sarebbe particolarmente ricca, il Tujone. Non c’è manco da dirlo, ma si tratta di idee senza fondamento perché studi scientifici hanno dimostrato che le quantità di Tujone necessarie a indurre convulsioni e morte sono di un centinaio di grammi per uomo adulto, equivalente di un centinaio di litri di bevanda. Appare quindi chiaro che l’alcool avrebbe ucciso il malcapitato molto prima! Tra l’altro la maggior parte del Tujone sparisce con l’essiccazione che precede la macerazione e altro ne sparisce eliminando la “testa” del distillato, poiché è noto che nel processo di distillazione, si eliminano la prima e l’ultima parte del prodotto (la testa e la coda), che contengono sostanze tossiche.
Un’altra scusa per la messa al bando fosse che mimava gli effetti dell’oppio, ma di fatto si trattava soltanto di sintomi da ubriachezza, poiché non è stata dimostrata la presenza di sostanze simili al THC o altri stupefacenti. Alcuni oppiomani avevano il vizio di mescere l’amaro laudano con altre bevande, per il consumo ed ecco che queste gocce stupefacenti finivano anche nell’assenzio, ma era una adulterazione personale di alcuni individui, non la regola.
Nel tempo si sono diffusi anche surrogati, con gradazioni alcoliche basse e coloranti/adulteranti artificiali per ottenere colore e aroma, occorre fare attenzione nell’acquisto!
Per quanto riguarda i suoi usi farmacologici, l’assenzio viene somministrato fin dall’antichità come decotto o infusione per diversi disturbi legati all’apparato digerente come inappetenza, iposecrezione biliare, disturbi della digestione, atonia gastrica, vomito nervoso, infiammazioni delle mucose del tratto gastro-intestinale, dissenteria prolungata. Oltre a favorire e regolarizzare il flusso mestruale (amenorrea e irregolarità del ciclo), la pianta è indicata anche come febbrifugo, vermifugo ed epatoprotettore.
L’assenzio si può classificare a tutti gli effetti nella categoria “amari”, per la quale non stravedo affatto, infatti in casa ho una bottiglia di Assenzio ed è lì da una ventina d’anni, poiché assaggiata una volta, mi è parsa troppo amara e insignificante per dedicarle attenzione, ma confesso che ripetere i rituali di preparazione, creava un’atmosfera del tutto particolare. Magari non mi ha entusiasmata perché non era una bottiglia della pregiata Pernod Fils! L’assenzio non è infatti un liquore con cui riempire uno shottino da tracannare al gargarozzo, ma una bevanda nobile e preziosa che richiede un calice Pontarlier, con una bolla alla base, che stabilisce il contenuto di assenzio puro e un vetro svasato sovrastante in cui mettere l’acqua e il ghiaccio e sul cui bordo si appoggia l’apposito cucchiaino forato che ospita la zolletta di zucchero.
Nei primi dell’800, la bevanda si consumava pura, col cucchiaio, come uno sciroppo, poi si è presa l’abitudine di dolcificarla con sciroppo di gomma o orzata o diluirla con acqua ghiacciata. Ancora più recente, verso la fine del XIX secolo, è stato il rituale del cucchiaio forato e della zolletta, a volte addirittura bagnata nell’alcool e poi incendiata. Sono tutti rituali ugualmente validi, ma finalizzati a ottenere un gusto più dolce, meno amaro e l’opacizzazione della bevanda che, da verdolina e trasparente, diviene lattiginosa, dando il cosiddetto Louche.
Qualsiasi sia il rituale che più vi ha affascinato, l’Assenzio merita almeno un assaggio, meglio se in un antico locale parigino o, magari, al Moulin Rouge, dove ha avuto origine l’abitudine della zolletta infuocata!
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