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“Loro temono ciò che non conoscono e distruggono ciò che temono.”

L’oppio

da | Mag 23, 2022

Foto dal Web

Quando si pensa alla lunga e feconda epoca vittoriana, ci sono alcune caratteristiche universalmente note: gli abiti da donna coi paniers sul sedere, il tramonto degli Imperi coloniali, l’illuminazione a gas delle vie, le prime fotografie e i rudimentali cinematografi, le biciclette, i malati di tubercolosi e lui, il laudano o la sua versione “bio”, l’oppio, con le sue fumerie. Nel romanzo La Bestia, Draco si occupa spesso di storia della farmacologia e parla anche dell’oppio.

L’origine del nome è, tanto per cambiare, greca e significa “piccolo succo”, infatti succo estratto dall’incisione delle capsule immature del fiore del Papaver Somniferum è un latticello che è la base dell’oppio. Una curiosità: tanto per indicare la sua pericolosità, in Cina è detto O-Fu-Jing e cioè Veleno nero.

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La storia di questa sostanza è più antica di quanto si pensi. Va ben oltre le fumerie di fine ottocento per affondare le sue radici addirittura nell’ominide noto come Uomo di Cro-Magnon e si parla di periodi tra 20 e 30 mila anni fa. E lo si sa grazie a ritrovamenti di bulbi di questa pianta insieme ai resti di insediamenti su palafitte di questo antichi progenitori. Gli scienziati non si sbilanciano sull’ipotesi se questi ominidi conoscessero o meno l’uso del lattice dei papaveri da oppio, ma la logica vuole che se ti tieni in casa delle cose che non sono belle né buone da mangiare, qualche altro uso lo devono avere!

Le prime testimonianze scritte sull’uso della sostanza risalgono invece ai sumeri e a 3 mila anni prima di Cristo e, da lì, la diffusione nelle civiltà antiche, caldea, assira, babilonese e, prima tra tutte egizia, è sicura: il “papiro ermetico dei medicamenti” infatti consiglia l’oppio come sedativo. Per i greci divenne una sorta di panacea, tanto che Ippocrate nel V secolo A.C. lo consiglia come rimedio a molti mali, ma già un secolo dopo Erasistrato ne denuncia la pericolosità nell’uso prolungato. I romani lo scoprono attraverso i greci e medici come Dioscoride e, soprattutto Galeno, lo introducono a Roma. Un farmaco in cui lo si trova in discrete quantità è la Teriaca, il minestrone superstizioso/farmacologico inventato dal medico di Nerone, Andromaco.

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Durante il medioevo l’Europa ne dimentica l’uso, mentre in medio Oriente si continua a studiarlo e usarlo: Avicenna attorno all’anno Mille lo “riscopre” con tale entusiasmo, che pare sia morto per overdose. Allo stesso modo, in occidente Paracelso morirà intossicato dalla tintura di morfina all’1%, meglio conosciuta come Laudano. vuoi per questi motivi o perché era qualcosa di origine “infedele”, la Santa Inquisizione si sentì in dovere di vietarne l’uso, anche come medicinale.

La sua storia continua in Cina, come principale consumatore e in India, come produttore, legato alla potente Compagnia Britannica delle Indie orientali, che ne monopolizzava il commercio. Risale al 1839 la decisione dell’Imperatore di distruggere delle casse appena scaricate a Canton da una nave inglese e questo scatenò la Prima Guerra dell’Oppio fra Cina e Inghilterra (che portò tra l’altro Hong Kong a divenire inglese). Intanto giungiamo alla fine del XIX secolo e alla sua diffusione anche tra gli occidentali in maniera trasversale tra tutte le classi sociali. Ne facevano uso molti poeti e scrittori come Coleridge, Baudelaire e De Quincey (autore di Le confessioni di un mangiatore di oppio).

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Il principio attivo è la Morfina, così chiamata in onore di Morfeo, il dio del sonno greco. Si tratta di un alcaloide che, insieme alle altre varianti (codeina e tebaina), ha effetti analgesici, euforizzanti e costipanti. Altre sostanze come papaverina, noscapina e narceina sono spasmolitiche. E, udite udite, “la farmacopea ufficiale italiana ammette l’uso terapeutico di oppio, ma specifica che il suo contenuto di morfina deve essere compreso fra il 9,8% e il 10,2%.” (cit. Wikipedia).

Ma come veniva usata dagli antichi? Per fumarla si scalda una pallina di sostanza su una pietra calda o una stagnola e si inala il fumo. Per preparare questa pallina si fa fermentare il latticello e vi si aggiunge un fungo, l’Aspergillus niger. Ma siccome dell’oppio non si butta nulla, il residuo della fumata, il dross, seppur tossico, ha ancora molta morfina al suo interno e può essere riusato mescolandolo al caffè o al thè e il prodotto si chiama tyl, oppure usando un metodo di torrefazione può essere fumato di nuovo (tinks o samsching). Alcune varianti sono sotto forma di polvere da assumere per via nasale, altre prevedono il mescolare dell’oppio con cibi per ottenere palline masticabili o per assumerlo ovviando al suo saporaccio, per esempio con del tabacco, del betel o del succo di tamarindo.

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