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“Loro temono ciò che non conoscono e distruggono ciò che temono.”

Intervista doppia #5: Michela e Zambattista

da | Giu 15, 2023

Dopo che ho lanciato il gioco “intervista doppia” sulla pagina facebook di Scrittori in Gioco, ho ricevuto molte adesioni e mi sono divertita a leggere le interviste. Ecco a voi quella di Michela e il suo Giambattista, di cui ci godiamo la quarta di copertina.
Reggio Emilia, 1501. I giovani fratelli Bebbi, stanchi di assistere in silenzio allo spadroneggiare di Zoboli e Scaioli, non capiscono perché il padre non si opponga, come dovrebbe la longa manu del Duca d’Este. Sentono il dovere di fare ciò che il genitore sdegna: prendere in mano la fazione. La disputa tra Zoboli e Benedettini, tra la zia Badessa a una suora degli Scajoli, offre ai Bebbi l’occasione di farsi valere. La discordia del convento si spande per Reggio e i Bebbi imparano presto che pure le buone azioni si pagano. Tra le cospirazioni sussurrate, una minaccia il Duca Alfonso e i Bebbi dovranno salvarlo, mentre gli Scajoli ambiscono a scalzare gli Zoboli. Con «Il convento della discordia» si consolidano le fazioni che nella saga «Alfieri del Duca» combatteranno per gli Este o il Papa.

Foto dal Web

Ciao, come ti chiami?

Autore: Michela è il mio nome di nascita, Deepa è il nome che mi hanno dato i miei amici indiani.

Personaggio: Giovanni Battista de Bebio, dei Conti d’Agugna, ma gli amici mi chiamano semplicemente Zambattista.

Dove vivi?

Michela: Reggio Emilia.

Giambattista: Reggio di Lombardia, principalmente. Ovviamente anche ad Agugna, dove c’è il castello della mia famiglia, ma lì ci sta soprattutto Girolamo, il mio gemello: è lui che ama la vita in Appennino. Ah, ho vissuto anche a Ferrara per i miei studi, avevo un comodo appoggio perché mia madre viene da lì, quindi mi ospitavano gli zii.

Qual è la tua professione?

Michela: Mi pagano per sorvegliare luoghi, ma non ho studiato per questo. Mi piace definirmi un’umanista. Mi occupo di scrittura, teatro e storia.

GIambattista: Eh … mio padre mi avrebbe voluto prete e mia madre già mi vedeva con la mitra vescovile in testa, ma decisamente quella vita non fa per me. Sto cercando di reinventarmi, adesso. Ho seguito un po’ mio fratello a Novellara, dove è Capitano delle guardie, però non ho intenzione di fare il suo secondo a vita. Il tempo di farmi un po’ le ossa e poi proverò a condurre io stesso soldati. Anche se la cosa scontenterebbe molto mio padre. Credo anche che andrò a Bologna, per completare i miei studi così per aprirmi qualche strada anche nell’amministrazione … chissà!

Qual è la professione dell’altro?

Michela: Il nobile. E’ figlio di Conti, quindi da una parte ha una bella rendita come appoggio e così può dedicarsi a guerra e politica.

Giambattista: Credo sia un po’ come quel mio cugino di terzo o quarto grado, Ludovico. A entrambi piace tanto scrivere, fare gli artisti ma non ci guadagnano nulla e quindi devono far altro per mettere del cibo in tavola. A mio cugino, però, va meglio che a lei, lui almeno fa il segretario del Cardinale d’Este. Anche se, forse, lui non si definirebbe fortunato.

Michela: Mi stai paragonando all’Ariosto? Non ti sembra eccessivo?

Giambattista: Perché? Pure lui non lo conosce ancora nessuno, mica è Matteo Maria Bojardo!

Ti piace come sei?

Michela: Ma sì, dai. Potrei avere qualche chilo di meno ma, se davvero lo volessi, provvederei a toglierlo, invece di lasciar perdere. Se, invece, si parla di carattere, beh, forse farei a meno di qualche insicurezza e qualche ansia.

Giambattista: Io odio i miei capelli rossi. Non per una questione estetica, ma per ciò che li ha causati … [si rabbuia e gli occhi verdi si rivolgono al pavimento] … sapete, sono i figli del demonio ad avere questi capelli. Mia madre continua a negarlo, ma è innegabile: è stato un Incubo, forse assumendo le sembianze di mio padre, a giacere con lei e concepirmi. Ecco, io odio questa mia natura.

Michela: Anche Girolamo ha i capelli rossi e non si fa tutti questi problemi.

Giambattista: Eh, siamo come Polluce e Castore. Avevano lo stesso padre ma uno era divino e l’altro umano; noi siamo io demoniaco e lui umano.

Cosa cambieresti di te stesso?

Michela: Vorrei togliermi l’ansia di disturbare la gente, la paura di annoiarla, il terrore di essere troppo invadente, perché questo mi trattiene molto e mi danneggia nei miei tentativi di promozione dei miei romanzi … e intanto vedo gente in tutti i campi con manie di protagonismo. Non vorrei essere come loro, ma solo farmi meno problemi.

Giambattista: Eh, vorrei scacciare la forza oscura che c’è dentro di me e che mi fa facilmente perdere le staffe e scoppiare d’ira. E’ davvero subdola! Io cerco il più possibile di controllarmi e allora l’oscurità mi solletica l’animo sanguigno proprio davanti alle ingiustizie. Io odio i soprusi e quando ne vedo uno devo intervenire e allora la mia oscurità cerca di cogliere l’occasione per farmi eccedere. Altre volte, invece, la sento carezzare la mia ambizione e mi suggerisce ogni mezzo, senza scrupoli; ma in questi casi mi è più facile zittirla.

Cosa cambieresti dell’altro?

Michela: Gli toglierei questa fissazione per l’oscurità. Non è vero che ha parti demoniache in sé. La sua convinzione, però, lo rende terrorizzato da se stesso e gli impedisce di dare una direzione precisa alla sua vita.

Giambattista: Vorrei che smettesse di far vivere brutte esperienze a Paolo, il mio fratellino. Lo ha traumatizzato!

Cosa ti piacerebbe fare in futuro?

Michela: Mettere su famiglia e poter vivere di scrittura e teatro.

Giambattista: Farmi ben notare dal Duca Alfonso d’Este, servire lui e Reggio. Magari sarà tanto contento di me che mi concederà un feudo tutto mio. Poi, dovrò pensare anche a trovarmi una moglie degna e magari vantaggiosa. Il Conte di Guastalla non ha figli maschi ma solo una femmina, dovrei pensarci un po’ su, magari potrei diventare il suo successore.

Michela: Aspetta di innamorarti …

Giambattista: L’amore può causare grossi danni. Pensa a Giulio che è perso dietro a una pastorella. Giorgio, quando l’ha saputo, si è sentito male e spera che il pettegolezzo non arrivi mai alla Corte di Ferrara, perché tutti i suoi amici lo dileggerebbero.

Cosa rimpiangi del passato?

Michela: Rimpianti? Non saprei. Nostalgia per persone del passato, sì, ma non rimpianti.

Giambattista: Non aver detto subito ai miei genitori che non volevo fare il prete. Ero piccolino quando mi hanno avviato alla carriera e per anni e anni non sono riuscito a ribellarmi. Questo mi ha rallentato negli studi, diciamo da “laico”, che appunto devo ancora concludere. Inoltre, lo rimpiango perché mio padre si è messo a litigare con un Cardinale Della Rovere per ottenere per me l’investitura di un certo beneficio e quindi ci siamo inimicati una famiglia potente invano.

Raccontaci una memoria, un ricordo che ti è particolarmente caro.

Michela: Eh, molto difficile. Della mia vita in generale o legato alla stesura del romanzo? Ho amato molto fare ricerca storica per archivi alla ricerca di lettere e documenti che mi svelassero molti dei misteri che aleggiavano attorno alla faida che ho deciso di romanzare. Sono partita da un paio di cronache scritte alcuni decenni dopo la Pace definitiva tra le fazioni in contesa. In quei manoscritti c’erano molte informazioni ma non abbastanza, ho iniziato a pormi tante domande e ho iniziato ad approfondire, scoprendo tantissimi dettagli, dimenticati dal tempo.

Giambattista: Beh, ricordo con piacere tutti i momenti passati con la famiglia al completo. I pranzi di Natale con gli zii di mio padre e i cugini. Lo zio Pietro che ci animava a essere coraggiosi e a prendere in mano le nostre vite e la politica, quando saremmo stati grandi. Lanciava sempre occhiatacce di disappunto a mio padre, un po’ mi dispiaceva; era l’unico neo di quelle giornate, passate a parlare e a sfidarci in ogni sorta di gioco fisico, verbale e d’astuzia. A proposito di sfide verbali, sono bellissime anche le gare di oratoria che organizza il Maestro Caraffa, ma non posso considerarle un caro ricordo. L’anno scorso sono arrivato in finale, una bella soddisfazione, ma l’ho persa. Una sconfitta che più dolorosa non avrebbe potuto essere, perché non ho perso contro un avversario qualunque o, magari, con una lunga esperienza. Ho perso contro Baldassarre Scajoli! La mia nemesi! E’ vero che noi Conti de Bebio e gli Scajoli siamo rivali da anni e anni; lo zio Pietro li avrebbe voluti tutti morti e ora è suo figlio Bernardino a portare avanti il suo pensiero e vede loro complotti ovunque. Tra me e Baldassarre, però, la rivalità è ancora più forte. Sarà che abbiamo la stessa età, sarà che entrambi siamo molto letterati e ambiziosi, però è come se fossimo strettamente legati. Siamo uno l’avversario naturale dell’altro, non saprei come altro spiegarlo.

Michela: Aveva chiesto un ricordo che ti è caro e tu parli dell’odio profondo che ti lega a Baldassarre?

Giambattista: Beh, un ricordo caro non dev’essere per forza bello, no? Sinceramente non riesco a immaginare la mia vita, senza lottare (metaforicamente) contro di lui, senza contenderci ogni cosa. Avremmo potuto essere grandi amici, invece … [sospira e scuote la testa]

Qual è la scena più bella del romanzo che hai scritto/interpretato?

Michela: Difficile scegliere. Mi piacciono molto alcune scene di Lucrezia, ma è meglio non parlarne davanti a suo fratello.

Giambattista: Perché? Che cosa mi nasconde?

Michela: Niente, non badarci. Dirò quindi che la mia scena preferita è quella della partita a Palla-Bracciale. Al posto di una battaglia cruciale (per quelle ci sarà spazio nei prossimi volumi) c’è una partita a pallone da cui dipendono molte cose e che nasconde ben più di ciò che si vede.

Giambattista: Prendere a pugni Baldassarre. No, no, non posso dire questa. Questa è l’oscurità che parla! Allora, il momento che mi è piaciuto di più … beh, quando ho rincontrato il Conte Guido Rangone e l’ho difeso da un fendente a tradimento.

Di’ qualcosa di cattivo all’altro!

Michela: No, non potrei mai. Gli voglio troppo bene.

Giambattista: Mi astengo da qualsiasi cosa, anche solo detta o fatta per celia, che possa alimentare la mia oscurità.

Ora invece qualcosa di carino all’altro!

Michela: Se ti libererai delle tue paranoie, la strada della grandezza ti sarà aperta, senza ostacoli.

Giambattista: Grazie per voler raccontare la storia della mia famiglia e ridarci fama e gloria.

E in ultimo qualcosa ai lettori:

Michela: Beh, la butto sul marketing spicciolo: “Ehi, provate il mio romanzo storico, è un Game of Thrones all’emiliana.”

Giambattista: Mmm … penso che opterò per quello che è di recente diventato il mio motto: “Nec spe, nec metu”.

Michela: Devi tradurlo, non tutti conoscono il latino.

Giambattista: Ah, giusto. Significa: “Né speranza, né paura”. Ho deciso di vivere così: facendo la cosa giusta, senza paura delle conseguenze e senza speranza in un premio.

Giambattista si muove tra le pagine del romanzo “Il convento della discordia”: acquistabile qui.

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