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“Loro temono ciò che non conoscono e distruggono ciò che temono.”

Lo zafferano

da | Giu 10, 2022

Foto dal Web

Lo zafferano è la spezia più preziosa, più costosa in assoluto: un grammo di pistilli di Crocus sativus della miglior qualità può arrivare a costare 30 euro. Il motivo è presto spiegato dal ciclo vitale della pianta e dalla sua resa alla raccolta: il fiore ha un corredo genetico triploide ed è sterile, quindi senza l’aiuto dell’uomo non può riprodursi. La riproduzione avviene infatti per moltiplicazione vegetativa, attraverso la selezione di un clone iniziale o per ibridazione interspecifica. La teoria vuole che il C. sativus sia una forma mutata del C. cartwrightianus, originario dell’isola di Creta, che potrebbe essersi sviluppata come specie, preferita per i lunghi stigmi, da una selezione vegetale della tarda età del bronzo.

Greci, Romani ed Egiziani adoravano la spezia che era importante negli intensi traffici nel Mediterraneo, grazie ai navigatori Fenici. Anche in Persia e nel Medio Oriente lo zafferano era utilizzato, ma non solo come spezia, bensì come deodorante!

Pare poi che Alessandro Magno usasse fare il bagno in vasche di acqua e zafferano per curare le sue molteplici ferite di battaglia.

Nel medioevo lo zafferano, oltre che come spezia, era molto utilizzato come medicinale, specie durante le periodiche pestilenze del periodo. Venezia fu fulcro del traffico della spezia tra oriente e occidente, mentre importanti centri di produzione continentale furono Basilea e Norimberga. Anche nel nuovo mondo la coltura dello zafferano conobbe grandi fortune, ma solo fino agli inizi del 1800, per poi declinare e rimanere confinata a specifiche aree del Nord-America.

Veniamo alla coltivazione e al secondo motivo per cui la spezia è tanto costosa. I bulbi vengono piantati in estate in terreni argilloso-calcarei friabili, a bassa densità, ben irrigati e ben drenati e con alto contenuto organico, arricchiti da 20-30 tonnellate di concime per ettaro e riposano quiescenti fino alla fine di agosto, quando con le prime piogge cominciano a vegetare. La fioritura è a metà di ottobre e la raccolta avviene velocemente dall’alba fino alle prime ore del mattino nell’arco di due settimane, perché deve avvenire prima del completo sbocciare del fiore, cosa che distruggerebbe i preziosi stimmi.

La raccolta è ovviamente fatta tutta a mano, così come la successiva apertura dei petalo per staccare con delicatezza gli stimmi. L’essiccazione degli stimmi ora avviene con forni che mantengono la morbidezza nonostante la disidratazione, ma è comunque un ennesimo passaggio molto delicato, perché da questo dipende il valore e la qualità del prodotto finito. Il colore finale è rosso porpora, vivo e vibrante, con un aroma forte e intenso.

foto dal web

Per produrre un chilogrammo di zafferano in fili sono necessari all’incirca 120.000 fiori, ogni bulbo produce quattro fiori e richiede una superficie di mille metri quadri, oltre a più di 400 ore di manodopera per i vari passaggi. La resa è di circa 10 milligrammi di zafferano fresco per fiore, corrispondenti a circa 7 milligrammi di zafferano secco.

L’origine della pianta pare essere la Grecia, o l’Asia Minore e il suo nome in arabo (za-faran), persiano (zaafara) o accadico, indica comunemente la pianta del croco, anche se una traduzione parrebbe indicare la terminologia molto romantica “alle ali d’oro”.

E’ una pianta che cresce bene nella macchia mediterranea e climi simili come in Cile e in California con pendii soleggiati, brezze calde e asciutte che possono però regalare anche inverni fino a -10°C

Circa il 90% della produzione mondiale di zafferano arriva dall’Iran, seguono Grecia, Marocco, India e Spagna. In Italia lo zafferano viene prodotto in diverse regioni, alcune con il riconoscimento di denominazione di origine protetta, per esempio in Sardegna, Toscana, Abruzzo, Umbria e Marche.

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Usi farmacologici:

Innanzitutto va specificato che è facile confondere il C. sativus con il Colchicum, noto anche come falso zafferano, che è decisamente velenoso e, soprattutto, che non ha antidoto alle sue tossine.

Ammesso quindi di aver a disposizione il vero croco da zafferano, potremmo usarlo nei disturbi dell’umore e delle depressioni, grazie alla crocina, ben usabile anche dai petali, che sono normalmente scartati dalla produzione della spezia. La sua efficacia è paragonabile alla Fluoxetina, ma non ha gli effetti collaterali di questo farmaco sulla sfera sessuale, dunque “tagliare” parte del farmaco per sostituirla con un prodotto naturale come lo zafferano limita le disfunzioni sessuali. Questa potrebbe essere una conferma delle proprietà afrodisiache ascritte alla spezia!

Crocina e crocetina, i pigmenti della pianta sembrano capaci di inibire la proliferazione delle cellule cancerose e causarne l’apoptosi, ovvero la morte cellulare. Inoltre hanno effetti protettivi su DNA, RNA e proteine, grazie ai carotenoidi, noti antiossidanti.

Altro uso è nell’alleviare i sintomi della sindrome premestruale.

Non è tutto oro quello che colora i piatti! Dosi della spezia superiori al grammo possono causare vomito e nausea e il consumo di 12-20 grammi può essere addirittura letale. Un modo costoso per suicidarsi!

Un utilizzo per lungo periodo di dosi superiori ai 60 mg può causare disturbi dell’umore, calo della pressione e riduzione di globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. 

La ricetta di Zel

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Sebbene la coscienza mi dicesse di scrivere del classico Risotto allo Zafferano alla Milanese, che si cucina con anche il midollo dell’osso buco e un bel brodo di carne, e si serve come letto al di sotto dell’osso buco stufato, preferisco parlare di come faccio io il risotto allo zafferano, ovvero coi funghi.

Originariamente lo mangiavo col solo zafferano, come nelle migliori tradizioni milanesi; è mio marito ad avermi introdotto al piacere del mix tra zafferano e fungo, trovando il giusto bilanciamento affinché i due aromi di completino, senza ammazzarsi l’un l’altro.

Il riso deve essere Carnaroli o Arborio, col chicco grande che rilascia molto amido e rende la “puccia” ben cremosa. La cottura deve arrivare alla completezza per ammorbidire bene il chicco: non è buono se è croccante, non in questo piatto. Come dosi, a sentire i dietologi dovremmo metterci 80 grammi a testa, ma onestamente, se non è un etto, non mi pare neanche di mangiarmelo, sto risotto!

Occorre poi della cipolla rigorosamente bionda, olio evo per il soffritto e del vino bianco secco per sfumare. Personalmente uso un brodo vegetale per abitudine, ma chiaramente il brodo di carne, avendo tempo di farlo, renderà il gusto più pieno e grasso.

Circa i funghi, vanno bene porcini (anche secchi), finferli o altri di stagione, basta che siano carnosi e le quantità sono a piacere, a noi piacciono ben ricchi di funghi!

Lo zafferano di solito basta nell’ordine di una bustina (io uso il Leprotto, mi piace di più) per circa 3 etti di riso crudo.

Sale meglio non metterlo se usate il dado da brodo che è già ricco di glutammato, mentre un’aggiustatina col brodo casalingo la farei. Occorrono poi pepe, noce moscata e grana (o parmigiano, no il pecorino che è troppo forte) nell’ordine di un etto almeno per due porzioni, poi va a gusti, tenete conto che già il grana sala molto l’aroma.

Ultima cosa necessaria è il burro, una noce per 2-3 porzioni.

La preparazione del risotto è quella classica: dopo aver tagliato fini fini le cipolle e averle fatte imbiondire in olio, si aggiunge il riso, mescolando bene per farlo tostare, poi si sfuma con un mezzo bicchiere di vino bianco secco e si parte ad aggiungere il brodo, poco alla volta, attendendo che si assorba prima di metterne di nuovo.

La teoria vuole che non lo si mescoli troppo e comunque solo col cucchiaio di legno o plastica, meno traumatici per i chicchi. I funghi possono cuocere insieme se sono freschi, avendoli passati a imbiondire con la cipolla all’inizio, oppure possono essere aggiunti in cottura se sono secchi e rinvenuti in acqua. Un paio di cucchiai dell’acqua dei funghi, opportunamente filtrata da eventuali residui, è anche un buon modo per aumentare il sapore di fungo.

La cottura varia tra i 15 e i 18 minuti (meno per l’Arborio, poco di più il Carnaroli) e, a fuoco ormai spento, si aggiungono il formaggio grattugiato e la noce di burro per mantecare. Una volta messo nei piatti, si spolvera con il pepe e la noce moscata grattati al momento.

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