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“Loro temono ciò che non conoscono e distruggono ciò che temono.”

Estratti inediti – Memorie dal buio, Ren

da | Mar 28, 2022

Foto dal Web

Milano, 18 giugno 2005 ore 3 del mattino

“Mamma!”

La donna aprì gli occhi di scatto sul soffitto della camera da letto, illuminato appena dalle luci artificiali che filtravano dalla strada attraverso le tapparelle parzialmente calate.

Nella penombra restava in ascolto, col cuore che batteva prepotente contro lo sterno e una sensazione di angoscia che le impediva di muoversi.

Non era una paralisi notturna, non quella volta.

Non era neanche un incubo che le era restato appiccicato addosso.

Accanto a lei, il marito russava sommessamente.

Il lampione fuori dalla finestra ronzava come al solito.

Ma lei non riusciva a muoversi dal letto.

Non c’era muscolo che le rispondesse, tranne giusto quelli per muovere gli occhi.

Trattenne il respiro, nonostante il corpo tremasse per una improvvisa scarica di adrenalina e, quando lo emise, cercò di calmarsi, soffiando fuori i timori irrazionali.

Chiuse gli occhi.

Di nuovo lo sentì.

“Mamma!”

Scattò in piedi, ci riuscì nonostante il torpore insolito delle membra e si mosse alla cieca fin nella stanza di suo figlio.

Aprì piano la porta e un refolo freddo le soffiò sul viso.

“Mamma?” Ripeté la vocina.

“Cosa c’è Tommy?”

“L’uomo senza capelli è andato via.”

La donna si sentì stringere il cuore in una morsa gelida e si accorse di stare tremando: “Che freddo c’è in questa stanza? Papà ha lasciato acceso il condizionatore?”

Guardò verso l’alto, dove il macchinario taceva con la sua piccola luce led spenta.

“Ho mal di testa mamma.”

La donna accese la luce e si diresse verso il bambino, che si stropicciava le mani sulla fronte e i capelli: “Cucciolino, hai cinque anni ormai, ti ho spiegato che non devi mangiare dolci prima di dormire”, gli disse sedendosi accanto a lui sul letto.

Con la mano gli accarezzò i capelli e il viso, sentendo sotto le dita un gelo innaturale.

Il bambino era freddo, come se fosse rimasto nudo nella neve e la donna dovette usare entrambe le mani per fermare il vagare delle sue piccole dita a tormentarsi occhi e fronte: “Fatti guardare un attimo, vieni qui”, gli disse con tutta la dolcezza che riuscì a dissimulare dietro una preoccupazione crescente.

Quando lui tolse le mani e sollevò lo sguardo, lei si sentì mancare.

C’era una ferita sulla fronte di Tommaso, una specie di livido scuro nel centro esatto, tra capelli e arcate sopraccigliari.

*

Foto dal Web

Ore 6

Il sovrintendente Ferri superò il cordone di plastica, teso tra gli alberi del Parco Sempione, a delimitare un poligono di una ventina di metri quadrati di erba e rocce.

Le auto della polizia avevano ancora i lampeggianti accesi e gettavano sulle chiome i loro bagliori rossi e blu.

“Avete già avvisato l’Ispettore Del Santo?” Chiese il giovane poliziotto.

“Non ancora, entrerà in servizio tra un’ora, preferivo lasciarle fare colazione in pace”, rispose uno dei poliziotti che montavano di guardia dentro il recinto. “I paramedici chiedono quando potranno portare via il corpo.”

“Quando avremo finito Buzzi, quando avremo finito. Il medico legale cos’ha detto?”

“Che è morta da circa tre ore, causa del decesso è un trauma cranico, ma sarà più preciso dopo l’autopsia, è già rientrato.”

Ferri si chinò per sollevare il telo argentato aperto sul corpo esanime per difenderne la dignità, oltre che le prove, e rimase a lungo a guardare il volto della ragazzina, poi fissò il cordone di giornalisti e curiosi, che già erano pronti a scattare foto e pascersi dei dettagli torbidi dello spettacolo.

“Non appena la squadra investigativa avrà finito coi rilievi rientreremo tutti col corpo, intanto assicurati che la stampa e i maledetti avvoltoi restino alla larga. Non so perché, ma sono convinto che questo caso ci metterà sul collo l’alito fetente dei media.”

“Te lo dico io il perché, Sovrintendente”, disse l’agente Buzzi, avvicinandosi a sussurrare in maniera discreta. “Non è solo una ragazzina di buona famiglia morta in un parco, ma secondo il medico legale è suicidio.”

“Mi prendi per il culo? Ha la fronte sfondata e tutto il cervello sparso sulla pietra, come fa a essere un suicidio?”

“Secondo il dottor Carli la ragazza avrebbe battuto volontariamente la testa sul masso fino a morire.”

*

Foto dal Web

Ore 10

“Non ti spiace se rubo la tua ora per questa urgenza?” Disse il ragazzo con gli occhi fissi sull’agenda.

Erano occhi chiari, tra il castano e il verde, contornati da un paio di occhiali sottili che sottolineavano un volto con appena un accenno di barba, dello stesso colore castano fulvo che caratterizzava i corti capelli lisci, sollevati con abbondante gel come un prato incolto.

I lineamenti erano ancora adolescenziali e davano meno peso e serietà a quel camice bianco che lui indossava con fierezza.

“Non preoccuparti, tanto sarei rimasta qui con te fino a stasera, parleremo dopo”, rispose la biondina in un buon italiano, sporcato solo un poco dall’accento americano.

Balzò in piedi dal divanetto e, nonostante i pesanti anfibi militari, i suoi passi impattarono soffici sul tappeto dello studio, mentre si avvicinava alla scrivania per sbirciare sulla medesima agenda.

Era una ragazza poco più vecchia del dottore, che infagottava il corpo magro in una divisa mimetica  nei toni del verde, coperta da una giacca di pelle nera lunga fino alle caviglie.

Gli occhi verdi avevano una sfumatura metallica tendente al grigio brillante, mentre i capelli, biondi naturali, erano costretti dietro la nuca da una bassa coda che li portava fino a metà schiena, lisci e pareggiati.

Il ragazzo si irrigidì un istante, prima di sorriderle, un poco imbarazzato: “Ci terrei che restassi anche tu ad ascoltare, quello che mi ha anticipato per telefono è assurdo.”

“Tesoro, ma hai visto come sono vestita? Non passerò mai per una strizzacervelli.”

“Togli la giacca e metti il camice sopra la maglietta, se resti seduta non si vedranno quegli scarponi osceni che hai ai piedi.”

“Non tutte le ragazze sono a loro agio coi tacchi, io preferisco essere comoda e pronta a tutto”, rispose lei preparando il travestimento.

Il ragazzo batté i tacchi delle crocs nere e mimò il saluto militare: “Naturalmente Sergente Maggiore Noel!”

“Sfotti sfotti, ma avrei voluto vederti nel deserto dell’Iraq con me!” E si accomodò alla scrivania, non appena la segretaria introdusse il paziente.

*

“Dottor Carminati, grazie di avermi ricevuto senza preavviso!” La donna entrò, portando per mano il piccolo Tommaso che sfoggiava un vistoso cerotto sulla fronte.

La ragazza alla scrivania si irrigidì nella postura, fissando il bambino, la medicazione in particolare, mentre il dottore accoglieva la madre: “Mi chiami Pietro, gliel’ho già detto, ci conosciamo da un po’ ormai”, disse lui con un sorriso rassicurante, allargando la mano a mostrare i divanetti. “Si accomodi ispettore Del Santo, ciao Tommy, vieni a sederti? Ho un nuovo camion di pompieri telecomandato, lo vuoi provare?”

Il bambino si impegnò subito con il giocattolo, mentre l’ispettore fissò la biondina alla scrivania e il dottore si affrettò a fare le presentazioni: “Lei è una mia collaboratrice americana, la dottoressa Tessa Noel.”

Tessa si alzò appena, per stringere la mano alla donna, che le sorrise tesa e nervosa: “Piacere mio dottoressa, sono l’ispettore Viola Del Santo.”

Pietro e Viola si sedettero alla scrivania, osservando Tommy giocare col camion: “Cos’è successo Viola? Per telefono non ho capito bene.”

“Siamo appena tornati dal pronto soccorso del San Carlo, stanotte Tommy mi ha chiamato, saranno state le tre circa. La sua stanza era gelida e lui lamentava mal di testa, così ho acceso la luce e l’ho trovato con uno strano livido in fronte.”

“Strano in che senso?”

“Guardi lei stesso”, disse chiamando il bambino vicino a lei, per poi togliere il cerotto con delicatezza.

Il livido era evidente, largo alcuni centimetri, con una inconfondibile forma di labbra.

Pietro si avvicinò a guardarlo e vi passò il dito con delicatezza, sfiorando la ruvida crosta che si stava formando sulla pelle delicata: “Sembra quasi…”

“Ustione da freddo”, anticipò lei. “Lo so, me lo hanno detto anche al pronto soccorso, è come se qualcuno con un oggetto congelato a forma di labbra abbia fatto questo scherzo a mio figlio. Ma le finestre hanno le inferriate, l’antifurto non è scattato e io non so cosa pensare. Tra l’altro…”

Non continuò a parlare, rimase a guardare un punto a caso sul tappeto, mordendosi il labbro.

“Ha notato qualcosa d’altro?” Spinse Pietro.

“Ora crederà che due anni di sedute siano state buttate nel cesso, ma guardi bene l’impronta, vede quella riga trasversale sul labbro superiore? Anche mio padre l’aveva esattamente lì.”

Pietro osservò la ferita, l’irregolarità nel profilo, poi la donna: “Viola, abbiamo lavorato molto sul distacco da suo padre. In quest’ultimo anno ci siamo visti ogni settimana e ha fatto notevoli passi avanti.”

Lei scosse il capo: “Lo so, ma non posso ignorare che Tommy mi abbia detto, appena sveglio, che l’uomo senza capelli era andato via. Mio padre era calvo e…”

“E Tommy potrebbe aver visto una foto, magari ieri sera ne avete parlato e lui ha registrato il ricordo, rielaborandolo.”

“Ma quel segno? E’ identico a quello sulle labbra di mio padre, gliele ruppe uno spacciatore di eroina nel ‘72, durante un arresto.”

Pietro guardò di nuovo la lesione sulla fronte di Tommaso, poi si accomodò sul pavimento, a gambe incrociate: “Tommy, vuoi raccontarmi cos’è successo stanotte?”

Il piccolo non smise di giocare col camion sul basso tavolino: “Dormivo e faceva freddo, poi c’era un uomo alto, senza capelli, che mi ha detto che mi voleva bene e mi ha dato un bacio sulla fronte, ma mi ha fato male, bruciava tanto.”

Pietro guardò Tessa, che sollevò un sopracciglio, poi si rivolse a Viola: “Cosa mi sta chiedendo esattamente?”

“Pietro, lei collabora da due anni con la prima sezione della polizia e con me. Mi ha visto crollare dopo la morte di mio padre e mi ha rimesso in piedi. Secondo lei sto diventando pazza?”

Pietro scosse il capo: “No, certo che no.”

“Allora, se mi crede, mi aiuti. Lei ha una sensibilità così particolare. Non è solo il nostro profilatore, è anche uno psichiatra davvero in gamba. Voglio che mi aiuti a capire cos’è successo stanotte nella stanza di Tommaso.”

*

“Il vicequestore Domenico Del Santo è stato un ufficiale di spicco nella polizia di stato per tanti anni, è morto facendo il suo dovere”, disse Pietro quando Viola e il bambino se ne furono andati. “E’ morto quasi tre anni fa durante un’azione congiunta di polizia e carabinieri per sgominare una cellula mafiosa. Un proiettile lo ha colpito in pieno volto. Secondo il medico legale è stato un proiettile amico.”

“Uno dei poliziotti?”

“Già. Viola crede di essere stata lei, ma le rigature della pallottola non combaciavano con la sua[Autore sc2]  arma. Nonostante tutto, ha avuto un crollo nervoso dal quale la sto aiutando a uscire, ma è difficile farla convivere col senso di colpa.”

“Non si è individuato il colpevole?”

“Il proiettile non veniva neanche dalle armi degli altri poliziotti, ma purtroppo durante la retata, c’è stata una ampia colluttazione e alcune armi in dotazione alla polizia sono sparite, forse rubate dai mafiosi, compresa quella che ha presumibilmente sparato al vicequestore. In mancanza di una pistola fumante, di nome e di fatto, Viola si è caricata sulle spalle il peso del fallimento e della morte del padre. Parlando con me, è riuscita ad ammettere che nel piano che lei stessa aveva approntato, c’erano errori e variabili che sono state fatali alla squadra.”

“Quindi non è stata fisicamente lei a sparare, ma tutta la situazione che ha portato alla morte di suo padre, era effettivamente colpa sua.”

“Già. Credo che per esorcizzare quel demone che si porta appresso, le serva guardare in faccia l’uomo che ha sparato o trovare l’arma del delitto. Ma tre anni fa tu non eri ancora a Milano e non ho potuto sfruttare i tuoi canali, per scoprire dove fossero finite le pistole rubate.”

Tessa rimase immobile alla scrivania: “Posso provarci ora. Fammi avere i numeri di serie, farò qualche domanda ai miei contatti nel mercato nero. Resta però il fatto che quel bambino ha una ustione da freddo sulla fronte e che è identica a un bacio.”

“Non è detto che tutto abbia una spiegazione soprannaturale, Tes.”

“E non è detto che tutto possa venire spiegato dalla tua scienza, Pietro.”

Con un assenso le concesse l’ultima parola, invitandola poi sul divanetto: “Quando è entrato il bambino ho visto una reazione. A cosa hai pensato?”

“Ormai mi conosci, lo sai benissimo.”

“Ma se tergiversi a parlarne, significa che non abbiamo risolto quel nodo nel tuo passato, quindi ci ritorniamo insieme.”

“Tu godi nel versarmi sale sulla ferita vero?” E sorrise.

Quando Tessa gli mostrava il suo lato più giocoso e sereno, Pietro ne era contagiato e rispondeva con un mezzo ghigno imbarazzato, deviando lo sguardo affinché lei non leggesse quello che le parole di Pietro tacevano.

Rispetto, stima, affetto, amore. “Faccio il mio lavoro Tes e tu mi hai chiesto aiuto, proprio come Viola. Quindi ora chiudi gli occhi e raccontami di nuovo.”

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