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“Loro temono ciò che non conoscono e distruggono ciò che temono.”

Il Leviatano – racconto breve

da | Gen 4, 2023

Foto dal web

Ho inviato questo racconto breve a un concorso a tema “PLASTICA!” per il quale non mi hanno mai rimandato indietro neanche la ricevuta di ricezione della mail. Un’organizzazione terrificante! Mai più! Comunque è stato divertente scriverlo, anche se il limite di battute imposte era davvero castrante per il respiro che volevo dare al racconto. Passato il termine ultimo per la fine del concorso, non devo più mantenere l’inedito, quindi ve lo lascio in pubblica lettura! Godetevelo!

2010

La luce fredda tagliava l’oscurità come una lama, andando a illuminare lo spettrale paesaggio di rocce e sabbia; la torcia frontale del piccolo Rover forniva solo uno stretto cono di luce in quell’abisso nero.

L’elegante siluro avanzava lentamente tra le fumarole sottomarine, regolando le sue pinne di alluminio per direzionare la spinta delle eliche posteriori.

Dal suo tetto, un cavo saliva nel buio per dieci interminabili chilometri, come un cordone ombelicale che lo collegava allo yatch in superficie.

«Lascia più cavo Jen», disse l’uomo, avvicinandosi allo schermo, che offriva la visione di ciò che il Rover incontrava avanzando tra due fumarole, in un inferno di fango bollente e grigiastro.

Lo sfarfallio nelle acque, quando il gelo degli abissi incontrava il calore del mantello magmatico della terra, terminò bruscamente e il sommergibile planò sul fondo di sabbia, sollevando una nube di detriti impalpabili.

«Ci siamo Pete. Siamo sul fondo della fossa», disse la donna.

«Bravissima Jen, apri lo sportello di servizio, attivo i bracci artificiali.»

L’uomo calò il visore sugli occhi, poi iniziò a danzare con le mani, coperte da guanti per la realtà virtuale, mentre le braccia del Rover rispondevano ai comandi afferrando delle ampolle di vetro dal suo ventre cavo, stappando i tappi di plastica e raccogliendo campioni dal fondale e dalle fumarole.

«Cos’è quello?» Pete distese il braccio e l’arto meccanico del Rover aprì la pinza per afferrare un piccolo detrito. «Sembra quasi…» l’uomo strinse il triangolo grigiastro, con la superficie concava e comandò alla pinza di compiere un giro completo, per vederlo da ogni angolazione.

«È un tappo di plastica!» disse la donna. «Questa è la prova Pete! Ormai la plastica è arrivata anche al fondo dell’oceano. Dobbiamo denunciare l’emergenza.»

*

«Parleremo ora di un reperto molto particolare, raccolto sul fondo della Fossa del Leviatano», disse Pete, rivolgendosi alla platea di scienziati che lo ascoltava nel buio della sala conferenze, mentre le foto e i filmati della spedizione scorrevano al ritmo del racconto.

La foto del tappo di plastica, stretto tra le pinze del Rover, causò un’ovazione di stupore e qualche borbottio dubbioso, mentre gli occhi correvano alla provetta che ancora lo conteneva, esposta su un piedistallo, ricoperto da un telo scuro, tra le postazioni di Pete e Jen.

«Non è più solo una teoria. Le microplastiche giungono nelle fosse abissali e perfino questo tappo di una comune bottiglia d’acqua può inquinare il fondo del mare. La comunità scientifica deve farsi portavoce al prossimo G20 per sensibilizzare gli stati membri. La dottoressa Jennifer Curtis, vi illustrerà ora gli straordinari risultati emersi dalle analisi dei campioni biologici raccolti.»

La donna espose grafici, analisi chimiche e microbiologiche, soffermando poi le immagini su una creatura pluricellulare fotografata al microscopio: «Lo abbiamo chiamato Tardigradus leviathanii, per la somiglianza somatica e genetica con la specie Tardigrado; vivono nelle sacche di acqua pura e potabile che si trovano nelle fosse oceaniche. Non sappiamo molto di loro, per ora li abbiamo visti prosperare tra gli otto e i quaranta gradi Celsius, non sappiamo cosa mangino, gli studi sono appena iniziati, ma…»

Dalla prima fila, uno uomo alzò la mano, indicando poi il palco: «Sta bruciando!»

Pete e Jen si voltarono all’unisono verso il piedistallo, dove il telo si stava consumando a velocità impressionante, proprio come se il materiale stesse bruciando, ma senza fumo o il brillare tipico della combustione.

«Dev’esserci stata una reazione chimica di qualche tipo», disse Pete, salvando la provetta col campione, mentre la sicurezza provvedeva ad annaffiare il telo con un estintore ad anidride carbonica.

La sala venne sgomberata e Jen fissò i resti della stoffa: «È un semplice poliestere, con cosa potrebbe aver reagito? A meno che qualcuno abbia spruzzato un accelerante chimico. Un sabotaggio?»

Pete abbassò gli occhi sulla provetta di vetro che aveva in mano, che appariva vuota e priva della sua chiusura ermetica di plastica: «Jen, guarda! Che diavolo sta succedendo? Quando l’ho preso in mano un attimo fa era normale! Ora il reperto di plastica del fondale è sparito, ma manca anche il tappo della provetta stessa!»

*

«Cosa significa che è affondata Tom?» chiese Jen al cellulare, mentre il taxi arrancava nel traffico verso Times Square.

«Significa che la Belle è andata giù come un ferro da stiro Dottoressa! Lo scafo si è letteralmente sciolto!»

«Ma cosa c’era in quel porto? Scarichi tossici?»

«No no, l’acqua è normale, ma della nostra nave è rimasta solo l’armatura di ferro!»

Pete intervenne: «Cosa è rimasto esattamente? Solo il ferro?»

«Aspetti che guardo Professore, dal pontile la vedo sul fondo».

Qualche istante di silenzio, poi la voce del ragazzo tornò: «C’è il ferro, del vetro e gli inserti in legno, poi qualcosa che ondeggia, sembra uno dei lenzuoli.»

«Si fermi!» urlò Jen al tassista e si precipitò fuori dal mezzo, proprio davanti al grande schermo della piazza, che mostrava le ultime notizie della CNN e le immagini del Centro Congressi che avevano appena lasciato.

La facciata era tarlata come se fosse invecchiato di mille anni in poche ore e interi pezzi cadevano al suolo, mentre la cronista balbettava incredula: «Dall’ospedale ci informano che il Dottor Herzig, ricoverato a causa di un malore, poco dopo la conferenza cui stava partecipando, è morto. Pare che il suo pace maker si sia letteralmente smontato. »

Pete strinse nervosamente la mano e il cellulare si sbriciolò, lasciando i due a occhi sbarrati. «Lo scafo della Belle era in vetro resina, il tappo in PET, il telo in poliestere e il cellulare ha tanti componenti in plastica», concluse lui. «Quegli organismi mangiano ogni tipo di plastica! E noi li abbiamo portati in superficie, li abbiamo diffusi!»

Jen si aggrappò alla manica di Pete: «Il Leviatano dunque non è un enorme mostro biblico, ma un microscopico organismo. E questa sarà la nostra Apocalisse.»

Foto dal web, tardigrado

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