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“Loro temono ciò che non conoscono e distruggono ciò che temono.”

Il Mostro di stretta Bagnera

da | Apr 5, 2022

Foto dal Web, Antonio Boggia

E’ il 26 febbraio 1860 e Milano si è svegliata con una umida e nebbiosa atmosfera. Giovanni Murier, un decoratore presso la Richard ceramiche, entra nella sede dei Carabinieri Reali, una nuova istituzione di polizia con sede a Palazzo Cattaneo, in via Moscova. Viene ricevuto e la sua deposizione viene ascoltata con stupore, poiché denuncia la scomparsa di sua madre, Ester Maria Perrocchio, di 76 anni.

E’ vero, la donna non può essersi allontanata volontariamente, ma è diverso tempo che il figlio non riceve notizie. No, nessuno potrebbe volerle male, è una padrona di casa attenta e gentile. Certo, è una donna un po’ stravagante, ma no, non ha alcun sintomo di demenza senile.

Il figlio ha già fatto le sue indagini è le illustra ai carabinieri: ha interrogato i custodi dello stabile, che hanno detto che la donna avrebbe lasciato un amministratore unico per il suo stabile di Via Nerino 2, Antonio Boggia, muratore e capomastro, già affittuario della madre, che dal 1831 abita lì con la moglie. Boggia ed Ester sarebbero entrati in confidenza al punto che l’anziana, ritiratasi sul Lago di Como, lo avrebbe nominato suo amministratore appunto. Murier ha cercato il confronto con l’uomo, quando ha visto che si comportava come se il palazzo fosse suo, aumentando gli affitti, facendo lavori di manutenzione e facendo sparire la colonia felina del cortile, che la donna accudiva con amore. Ma Boggia gli ha mostrato delle lettere scritte da Ester e contenenti istruzioni sull’amministrazione del condominio.

Giovanni confessa di non essere in buoni rapporti con la madre e di essere abituato alle sue stranezze, dunque sulle prime crede ad Antonio, salvo poi scoprire che la procura è falsa redatta con la complicità del notaio Bolza di Como. Ed è allora che il Murier decide di sporgere denuncia.

Delle indagini si incarica il Giudice Crivelli, che inizia a mettere Boggia alle strette. Ma l’uomo è irreprensibile nella sua condotta, vanta un discreto curriculum lavorativo: prima muratore, poi capomastro e in servizio a palazzo Cusani, sede del comando militare austriaco, come addetto all’accensione delle stufe grazie alla sua conoscenza del tedesco. Nel sestiere è ben visto: frequenta la Chiesa di San Giorgio al Palazzo, è molto religioso e generoso.

Il giudice approfondisce le indagini sull’uomo e scopre che è nato proprio sul lago di Como, a Urio, nel 1799, non lontano dal confine svizzero e che già nel 1824 aveva avuto problemi con la giustizia per una serie di cambiali non onorate e una denuncia per truffa. Per sfuggire alla giustizia austriaca è scappato oltre il Ticino, nell’allora Regno dei Savoia, dove ha collezionato altre denunce, per rissa e tentato omicidio, che lo hanno visto ospite delle patrie galere, finché una rivolta nel carcere, non è stata occasione propensa per fuggire.

Tornato a Milano, nonostante il lavoro presso il comando militare Austriaco, si è fatto di nuovo notare, poiché nel 1851 ha tentato di uccidere con un’ascia un anziano contabile, Giovanni Comi che lo ha poi denunciato, raccontando di essere stato attirato nello scantinato di Via Bagnera, che Boggia usava come ufficio e lì colpito con una scure. Condannato a tre mesi di manicomio, li sconta nella Pia Casa della Senavra e torna libero.

Foto dal Web, giornale dell’epoca

Davanti a tutte queste notizie, Crivelli ordina una perquisizione nell’appartamento di Boggia, che rivela, in un cassetto della scrivania, altre due procure. La prima risale all’aprile del 1849 ed è firmata da Angelo Ribbone, suo compaesano e suo manovale. Nello scritto, lo autorizzava a prelevare i propri averi presso la casa della zia a Urio: 1400 svanziche, messe da parte per le imminenti nozze. Nella seconda, il ferramenta Pietro Meazza incaricava proprio il Boggia di vendere la sua bottega e una cantina in via Bagnera.

Stretta Bagnera, così chiamata forse perché lì vicino c’erano i bagni di origine romana, è poco più di un viottolo che unisce Via Santa Marta a via Nerino, proprio dove abitava il Boggia.

Foto dal Web, Stretta Bagnera oggi

Una breve indagine rivela a Crivelli che i due uomini sono dichiarati scomparsi da diverso tempo e solo la mancanza di un organismo investigativo centrale e coordinato, ha impedito fino ad allora di fare quei medesimi collegamenti che ora si snodano davanti al giudice.

Crivelli decide allora di interrogare gli altri affittuari e i vicini di casa, che confessano di aver visto Boggia armeggiare con sacchi da muratore, una gerla di sabbia e mattoni in uno scantinato nel viottolo chiamato Stretta Bagnera. L’associazione è immediata per l’inquirente, che dispone una perquisizione proprio di quella cantina, adibita a magazzino e studio dell’uomo.

I carabinieri si recano sul posto, ma non sono certo preparati a quello che avi trovano.

Nello scantinato, l’odore di marcio e decomposizione è appena percepibile, Boggia ha lavorato bene, ma la sua opera di muratura di una nicchia è ancora fresca ed è facile individuare il punto da demolire e già alla terza picconata, i mattoni cedono e il cadavere della povera Ester, decapitata e mutilata delle gambe, crolla addosso al carabiniere.

Ma non è finita qui. Crivelli osserva il pavimento di terra battuta, irregolare, facile da scavare e ha un’intuizione riguardo le altre due procure e i firmatari scomparsi. Ordina di scavare sotto il pavimento.

Ne emergono due corpi smembrati che vengono identificati come Angelo Ribbone e Pietro Meazza. Ma quando già quasi tutto lo scantinato è stato rivoltato, altre ossa emergono dalla terra. Un quarto corpo parimenti smembrato.

Foto dal Web

Dopo molte ricerche, diviene possibile identificarlo come Giuseppe Marchesotti, commerciante all’ingrosso di granaglie, privato della cospicua somma di 4000 svanziche.

Crivelli ha ora abbastanza prove e dispone l’arresto di Boggia. Il processo si apre il 18 novembre 1861 e dura cinque giorni, durante i quali Antonio, pur confessando gli omicidi, punta sull’infermità mentale, fingendosi pazzo. Interrogato sulla vicenda di Ester, infatti afferma: «Successe che alla mattina discorremmo della guerra. Contrastavamo fra noi: vincevano i tedeschi, i francesi o i piemontesi? Eravamo presso il piccolo uscio che mette nel solaio, ch’ella teneva per suo uso. C’era una scure e una sega. Lì mi saltò un estro: d’un tratto presi la scure e la vibrai con tutta la forza sulla testa della Perrocchio.»

Ma il giudice non è del medesimo avviso: Boggia non ha scelto le sue vittime in preda a un raptus di follia, ma ha pianificato con cura la truffa, gli omicidi e l’occultamento di almeno quattro cadaveri.

Di lui, nella sentenza del Tribunale di Milano si legge: «Di modi calmi, con un’esteriore quasi di bonarietà, esatto osservatore delle pratiche religiose, estraneo, almeno apparentemente, da viziose tendenze.» Ma quanti altri serial killer nella storia abbiamo sentito le medesime parole? Calmo, posato, all’apparenza remissivo e solitario, religioso, altruista coi vicini e con la comunità. Ma dietro questa maschera, si celava l’orrore freddo e calcolatore.

Il quadro che ne emerge, è infatti quello di un arrampicatore sociale in cerca di una rivalsa economica alla quale sottomette ogni cosa, anche la morale.

La giustizia lo riconosce colpevole e lo condanna a morte per impiccagione. Nel Regno Lombardo-Veneto non sono poi così frequenti le condanne a morte, a differenza di quanto accade negli altri Stati dell’Italia preunitaria; non c’è neanche un boia, infatti ne devono richiamare due, da Torino e Parma. La sentenza viene eseguita l’8 aprile 1862 in uno slargo tra i bastioni di Porta Ludovica e Porta Vigentina, adibiti appunto alle pubbliche esecuzioni. L’impiccagione viene tuttavia nascosta in un carro coperto, per sottrarre alla vista del popolo l’atrocità.

Per una curiosa legge del contrappasso, anche il cadavere di Boggia viene smembrato: la testa è offerta al Gabinetto Anatomico dell’Ospedale maggiore, su richiesta del Dottor Pietro Labus e poi affidata al padre della criminologia Cesare Lombroso, che lo usa per confermare le sue teorie sulla delinquenza e le caratteristiche somatiche. Il corpo invece viene inumato nel cimitero del Gentilino, presso Porta Ludovica.

Lombroso sosteneva che “criminali si nasce”, ma Boggia sembra proprio l’eccezione che conferma la regola, poiché se le sue misure frenologiche riconducono a un profilo criminale, è anche vero che iniziò tardi la sua attività di killer, a 52 anni e mai per motivi futili, ma per chiari e pianificati intenti fraudolenti.

Foto dal Web

L’esposizione della testa del Boggia si conclude nel 1949 quando viene inumata finalmente nel cimitero di Musocco. Nell’ottobre del 2009 riappare poi la mannaia da macellaio che Antonio ha usato per uccidere e smembrare le sue vittime. L’arma, già di proprietà dell’Ospedale Maggiore, era finita in collezioni private. Recuperata, è ora esposta nel Museo di Arte Criminologica di Olevano di Lomellina.

Due curiosità: la condanna di Boggia è stata l’ultima esecuzione capitale di un civile fino alla Seconda Guerra Mondiale, poiché nel 1890 il Codice Zanardelli l’ha abolita in tutta Italia.

La leggenda milanese vuole che il fantasma dell’assassino appaia ancora nel viottolo di Stretta Bagnera e appaia come un refolo di aria gelida che avvolge i passanti ignari.

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