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“Loro temono ciò che non conoscono e distruggono ciò che temono.”

La maledizione di Tutankhamon

da | Dic 20, 2021

Foto dal Web, dettaglio della maschera funeraria d’oro

E’ il 4 novembre del 1922. Howard Carter, un archeologo non ancora famoso, si sta preparando ad abbandonare per sempre le campagne di scavi. Dopo sei stagioni i fondi sono finiti e la sua idea che ci sia ancora una tomba da scoprire nella Valle dei Re, in Egitto, non sembra trovare riscontri.

Molti suoi colleghi ritengono che l’Egitto non abbia altri tesori da regalare. Eppure lui ha in mano piccoli oggetti, ha sotto gli occhi una mappa delle tombe già scoperte e della geologia del luogo. Lui sa che gli antichi architetti conoscevano il proprio mestiere. E sa che c’è un punto, nella valle, in cui convergono i rivoli d’acqua delle piogge improvvise, depositando detriti e sabbia.

Se c’è ancora una tomba rimasta intatta, protetta dalla natura stessa, deve essere lì. Fa un ultimo tentativo e trova tre scalini che scendono nelle viscere della terra. Libera la rampa e trova una porta con ancora i sigilli intatti. I sigilli recano il nome di Tutankhamon, il faraone bambino che regnò per dieci anni dalla morte di Akhenaton, il faraone eretico, fino al suo diciottesimo anno di vita per poi scomparire in fretta dalla storia. Ma recano anche un altro importante testo. La sua maledizione: “La morte sfiorerà con ali leggere chiunque osi disturbare il sonno del Faraone.”

Foto dal Web da un originale scattata da Carter ai sigilli della tomba

L’archeologo non si fa certo fermare da una superstizione, ma resiste alla tentazione di fare come i suoi colleghi, che buttavano più le porte e rompevano i vasi alla ricerca dell’unica cosa considerata preziosa: l’oro. Ricopre il tutto, mette delle guardie a protezione del sito giorno e notte e telegrafa al suo finanziatore principale, Lord Carnarvon, che si precipita in Egitto per assistere, con le autorità e la stampa, all’apertura in diretta della tomba. La tomba di Tut era stata dimenticata presto dai suoi contemporanei, ricoperta dalle alluvioni e dalla sabbia e questo l’aveva preservata dai tombaroli. Ma sarebbe bastato per poter trovare qualcosa di valore? Carter pratica un piccolo foro nella porta e fa luce all’interno con una candela. Carnarvon gli chiede: “Cosa vedi?” E lui risponde: “Cose meravigliose!”

Foto dal Web, da un originale scattata da Carter di parte del contenuto della prima stanza

La portata della scoperta fa subito il giro del mondo: una tomba di un faraone è stata ritrovata, intatta, dopo tre millenni. Di nuovo questo grande uomo chiamato Howard Carter, resiste alla tentazione di entrare come un bisonte e mettere tutto a soqquadro per trovare la mummia. Cammina in punta di piedi tra mobili e oggetti, scatta foto, documenta ogni cosa nella sua posizione originaria e poi dà ordine di liberare con cura le stanze, recuperando ogni singola perlina persa nella sabbia. Grazie a questo lavoro meticoloso, molti oggetti distrutti durante un frettoloso furto a pochi anni dalla morte del faraone possono essere ricomposti e tutto il tesoro restituito intatto alle sale del Museo del Cairo. La tomba è piccola, scavata di fretta, poco decorata come ci si attende da una morte prematura e inaspettata, con poche stanze, ma tutte ingombre di oggetti di un corredo funebre enorme e prezioso.

Foto dal Web da uno scatto originale di Carter dei carri smontati e dei letti

I mesi passano, il lavoro procede con la lentezza che merita la grande scoperta e il pubblico attende con ansia nuovi articoli di giornale che aggiornino sullo stato degli scavi: c’è la mummia? E’ intatta? C’è dell’oro? Non manca giorno che Carter non riporti alla luce un meraviglioso manufatto, avvolto in ovatta, lino e imballaggi: statue, oggetti di uso quotidiano, carri, letti, statuine ushabti vengono fotografati sulle portantine che permettono loro di rivedere il sole dell’Egitto dopo oltre tre mila anni di oscurità.

Foto dal Web, Carter e Carnarvon dopo l’apertura della porta della tomba

Carter trova molto presto l’enorme catafalco che nasconde il sarcofago, ma esso occupa quasi tutta una stanza, così decide di terminare lo svuotamento delle camere, per evitare di mettere in pericolo i reperti. Ogni giorno, scendendo nella tomba, guarda quella parete d’oro sapendo con certezza che dentro avrebbe trovato Tut. I sigilli erano infatti ancora intatti anche su quelle pesanti lastre d’oro e i ladri non potevano essere giunti fino lì, perché la porta delle due stanze del tesoro erano murate. I manigoldi si erano fermati alla prima stanza poi, probabilmente, erano stati scoperti e messi a morte e la tomba richiusa in fretta per non disturbare il viaggio del Faraone.

Foto dal Web, ricostruzione delle quattro camere

Giunge finalmente il giorno dell’apertura del catafalco. Con perizia viene smontato pezzo a pezzo rivelando un secondo sacrario, poi un terzo e un quarto e, finalmente, un grande sarcofago rettangolare di quarzite. All’interno tre sarcofagi antropomorfi di legno e oro o di oro puro attendevano, come in un gioco di bamboline russe, di rivelare il suo contenuto.

Foto dal Web da uno scatto originale di Carter, con la mummia coperta dalla maschera d’oro e la resina nera che la avvolge

Il problema principale salta subito all’occhio: la mummia è stata cosparsa da così tante resine profumate che è annegata in una pece secca che la incolla al fondo del sarcofago. Il lavoro procede, ma è chiaro che qualche danno stavolta andrà fatto: la testa del faraone si stacca dal corpo durante la rimozione e parte del corpo si danneggia col calore o le sostanze chimiche provate per sciogliere la resina nera indurita. Alla fine però Tut viene liberato della preziosa maschera funeraria e il suo volto incontra lo sguardo degli archeologi.

Foto dal Web, radiografia e cranio della mummia

E’ un volto mal conservato, annerito dalle resine, eppure già con quelle prime analisi, gli esperti dell’epoca riescono a definire la causa della morte del faraone bambino. Un foro nel cranio li fa infatti propendere per l’omicidio e l’indiziato è il suo successore, il sacerdote Ay (nella foto che segue, è l’ultima figura sulla destra, con la pelle di leopardo sulla spalla, ritratta mentre usa l’apposito strumento rituale per aprire la bocca al faraone, durante il funerale), oppure il generale Horemheb, successore di Ay. Chiunque sia il colpevole, la diagnosi è fatta e tutto il mondo da allora crederà a due cose: la morte violenta del faraone e la sua volontà vendicativa esplicitata nel testo della maledizione. Il problema è che il mondo crede ancora oggi a entrambe le cose.

Foto dal Web, dipinti nella camera del sarcofago

Come stanno dunque i fatti? Allo stato attuale delle analisi e delle conoscenze, possiamo innanzitutto smentire il discorso maledizione, visto che l’unico morto durante gli scavi (se escludiamo il canarino di Carter mangiato da un cobra), è Lord Carnarvon, morto per complicanze setticemiche dopo una puntura di insetto o un piccolo taglio da rasatura. Carter stesso è morto 17 anni dopo, nel 1939, dopo aver dedicato la sua vita al restauro, analisi e catalogazione delle sue scoperte nella ricca tomba di Tut.

Foto dal Web, particolare dello schienale del trono di Tutankhamon, seduto, con la moglie Ankhesenamon che gli spalma un unguento sul corpo

Possiamo anche sfatare il mito dell’omicidio, perché la scienza medica ha potuto effettuare analisi molto più meticolose pochi anni fa, sottoponendo Tut a una TAC, poi a una risonanza e ad analisi genetiche incrociando i dati di tutte le mummie ritrovate finora e che potevano risalire a quel periodo. L’esito è stato sorprendente: non solo Tut era fratellastro per parte di padre, di sua moglie Ankhesenamon, ma era anche portatore di una serie di tare genetiche da consanguineità che fanno supporre che certi matrimoni incestuosi nelle famiglie reali non fossero solo “di rappresentanza”, ma effettivamente consumati e con prole a dimostrarlo. L’articolo, pubblicato sul Journal of the American Medical Association (JAMA), riporta infatti che il povero Tut soffriva innanzitutto di Osteocondrosi, una malattia rara e debilitante che gli rendeva difficile la deambulazione, poiché aveva un piede deforme e soggetto a necrosi e dolori lancinanti. Ecco spiegato il motivo per cui sono stati trovati tanti bastoni consumati e usati nel corredo funebre.

foto dal Web, ricostruzione dell’aspetto fisico di Tut

La causa ultima del suo decesso però, può essere ragionevolmente imputata alla Malaria tropica, la forma più feroce della patologia, che si accompagna a necrosi ossee. Queste lesioni, specie nel ginocchio, potrebbero essere dunque la causa della sua prematura dipartita. L’ultimo mistero rimane però sulla causa della lesione necrotica al ginocchio che, secondo alcuni patologi, potrebbe essere imputabile a una caduta e non alla malaria che avrebbe solo assestato il colpo finale. Quindi il giovane Tut non è morto per un colpo alla testa o per una caduta dal carro (casuale o organizzata da un assassino), che usava spesso perché, come tutti i giovani, amava le fuoriserie e la velocità, specie perché in quel modo poteva spostarsi senza camminare e provare quindi dolore.

Foto dal Web, il segretario generale del consiglio superiore delle antichità egiziane, il professor Zahi Hawass accompagna Tut nel tubo per la risonanza magnetica

Cosa rimane dunque di Tut e della sua maledizione? Sicuramente una lezione per tutti noi. Per decenni la maledizione di Tutankhamon ha ispirato l’arte, attribuendo a questo ragazzo sfortunato la cattiveria e la volontà di punire i profanatori in modo così crudele. La verità è che simili avvertimenti erano presenti in ogni tomba, per evitare i furti, ma i ladri non se ne sono mai curati. Ho scovato il libro scritto da Carter sul ritrovamento della tomba in una bancarella di libri, quando avevo 12 anni e il sogno nel cassetto di fare l’archeologa. Per diversi mesi mi sono portata ovunque quel libro, cercando, come prima cosa, di guardare la foto in primo piano della mummia e superare la paura e il disgusto nel vedere un corpo morto. E’ indubbiamente di maggior impatto emozionale una mummia, con ancora capelli e pelle e l’espressione del volto, rispetto a un bianco scheletro.

Di Tutankhamon però io ho capito da subito molte cose, andando oltre quello che appare superficialmente. Ed è qualcosa che anche nel 1922 avrebbero potuto capire. I bastoni e il piede corto e contorto indicano che era un ragazzo sofferente, malato. Il cranio allungato suggerisce che qualcosa non era normale in lui. Il fatto che sia stato messo sul trono in fretta, a 8 anni, quando era ancora completamente controllabile, al fine di restaurare il potere dei sacerdoti di Amon dopo l’eresia di Amenofi IV, suo padre, mi ha suggerito che sia stato una pedina. Ma soprattutto, quello che mi ha fatto capire molto di lui, è che nella stessa tomba, mummificati e seppelliti con tutte le cure, ci sono due feti. Le sue figlie abortite da una giovane regina che non è mai riuscita a portare a termine una gravidanza. E lui, il papà, ha portato quelle bambine mai nate con sé, nella più preziosa tomba mai ritrovata.

Foto dal Web, uno dei feti mummificati

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