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“Loro temono ciò che non conoscono e distruggono ciò che temono.”

Et in bona gratia – Lida Coltelli

da | Ago 26, 2023

Foto dal Web

Manzoni si era recato a Firenze per “sciacquare i panni in Arno” e liberarsi dei dialettismi milanesi, in modo da consegnare alla storia il suo “I promessi sposi”, in una lingua il più possibile universale. L’autrice del romanzo che recensisco oggi, invece, ha fatto l’opposto, ma andiamo per gradi, iniziamo dal titolo: Et in bona gratia, ovvero il commiato a chiosa delle missive dell’epoca, il sedicesimo secolo. Sottotitolo è “Un’indagine per il commissario Ludovico Ariosto” e già leggendolo, si viene colti dalla curiosità: “Che c’azzecca un poeta e drammaturgo con indagini poliziesche in stile Montalbano?” Ebbene l’Ariosto venne incaricato dagli Este di gestire i territori della Garfagnana per circa tre anni e così il poeta, suo malgrado, dovette assumere l’incarico di Commissario per quelle lande infestate di briganti, in cui la legge ducale faticava a penetrare.

La trama del Romanzo si snoda fin da subito, col ritrovamento del cadavere di un orafo e, dalle indagini successive, tra sospetti arrestati, interrogati ed esclusi dalla lista nera, si inizia a delineare il carattere del morto come una persona abbietta, che in molti, in vero, avrebbero visto volentieri a guardare le margherite dalla parte delle radici. Tra i personaggi che affiancano l’Ariosto spiccano senza dubbio la domestica Velia e il capo della Polizia Jacopo, il Baricello, il capitano Giovanni Navarra “lo spagnuolo”, oltre ad altri comprimari, le cui esistenze reali sono un fiore all’occhiello nel romanzo, che mesce fatti storici accuratamente studiati e personaggi e fatti di fantasia, proprio come piace a me.

Dell’indagine in sé non parlerò, per evitare spoiler, ma posso garantire che si regge benissimo sulle sue gambe solide, sebbene alcuni paragrafi o alcune frasi siano rimaste un po’ in sospeso, come la classica pistola fumante che però non trova esplicitazione. Questo, aggiunto ad alcuni refusi di stampa e revisione, adombrano un testo davvero interessante e curato. Il mio consiglio è di sistemarli per eliminare queste “sporcizie fastidiose”.

La vera innovazione del testo è la scelta audace dell’autrice di scrivere i dialoghi in toscano del 1500.
Tutti i dialoghi…
La cosa inizialmente risulta ostica, specie per chi mastica altri dialetti, come me, che sono per lo più milanese, ma con qualche voto positivo in cremonese, tuttavia la lettura consecutiva del testo fa entrare il cervello in modalità “ariostea” e dunque alla fine la lettura scorre lo stesso, ma è chiaro e lapalissiano che il testo non è affatto di semplice aggressione.

E’ uno di quei romanzi che classificherei di livello elevato, non per tutti i palati, ma alla fine io, probabilmente, avrei fatto la stessa scelta, perché tutti noi autori scriviamo di ciò che amiamo e che ci appassiona; se dovessimo piegarci alle logiche editoriali di mercato, non saremmo diversi da quegli autori che vengono aiutati dai ghost writers o che mettono la firma solo su prodotti commerciali di basso livello e ampia diffusione che mirano solo a “fare cassa” per sei mesi e poi vengono dimenticati.
Questo romanzo no, non è fatto per essere dimenticato su uno scaffale.

Dal punto di vista stilistico, la parte descrittiva appare scarna e funzionale giusto alle azioni e ai dialoghi, che sono i veri motori della storia, alleggerita da poche analisi intime dei protagonisti, ma ricca di dati, indizi e sospetti che mettono il lettore in condizione di partecipare all’indagine e farsi le proprie ipotesi. Il tutto bilancia il rallentamento nella lettura dovuto ai dialoghi in toscano e fa scorrere la storia senza inciampi.

Di tanto in tanto piccoli numeri in apice segnalano alcune parole o frasi (tipicamente in dialetto stretto che necessitano sicuramente una traduzione, o comunque le ore del giorno, col loro computo particolare), che ritroviamo in appendice in fondo al libro per dirimere ogni dubbio. Il problema è che andare in fondo al libro per leggere le note, fa perdere tempo e filo al discorso, già gravato dal linguaggio cinquecentesco e questa è una critica che non posso esimermi dal fare, avendo tra l’altro letto il romanzo in e-book. Avrei maggiormente apprezzato le note a pié di pagina, risolvibili con un veloce colpo d’occhio.

Queste note e i vaghi refusi seminati nel testo sono le uniche note dolenti in questo romanzo, che è comunque una bella prova di scrittura sia come intreccio “giallo” che come parentesi storica sulla Garfagnana del 1520. Un libro di nicchia sicuramente, ma che darà soddisfazione a chi lo saprà apprezzare.

COME LEGGERLO:

Luogo: tra le colline toscane

Tempo: inizio primavera

Sapori: pane toscano appena sfornato

Profumi: bosco in primavera

Musica: tradizionale cinquecentesca

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