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“Loro temono ciò che non conoscono e distruggono ciò che temono.”

La comfort zone

da | Dic 2, 2022

foto dal web

Comfort zone è un concetto molto in voga in questi anni, specie dall’epoca del Lock Down, quando molte persone hanno familiarizzato con il disagio nell’uscire di casa o vedere altre persone. La pandemia ha grattato una pelle sottile di abitudine per mettere a nudo e far sanguinare delle croste mai guarite di misantropia e paura dell’ignoto. La casa per alcuni è stata una prigione, per altri una zona sicura in cui sentirsi protetti dall’epidemia. Il concetto di “zona sicura” spazia quindi dalla psicologia, al mondo del lavoro, quando incontriamo dirigenti arroccati su vecchie posizioni che “hanno sempre funzionato”: si passa poi alla scuola, dove spesso si sente l’adagio “si è sempre fatto così”, o a certe eminenze grigie della medicina, che non mollerebbero i vecchi metodi neanche sotto tortura. Giungiamo infine all’editoria: nel nostro caso, la comfort zone rappresenta quell’ambito letterario in cui siamo più a nostro agio nello scrivere e nel leggere. Nel mio caso, per esempio, è il fantastorico.

Ma attenzione! Non dobbiamo considerare ogni nostro momento di tranquillità e benessere come una C.Z! Un conto è tornare a casa, sostituire le scarpe col tacco con le pantofole morbide e rilassarsi, o scegliere di scrivere o leggere solo in un ambito letterario per contratti, scelte editoriali o necessità lavorative ed essere in armonia con la scelta, un conto è guardare al resto con un misto di timore e invidia, un “vorrei, ma…” che ci tiene ancorati alla C.Z. Vorrei uscire, ma… Vorrei scrivere horror, ma…

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Vediamo dunque cos’è la vera C.Z. La visione primaria che si impone alla mente è quella di una stretta zona gialla attorno a noi, circondati da ogni lato dall’ignoto e da quel terribile anello rosso di pericolo. Perché la C.Z. è gialla e non verde? In fondo qui ci sentiamo a nostro agio! Snì… ovvero sì, ma… Ma non è del tutto vero che ci sentiamo a nostro agio nella C.Z. A volte la percepiamo come troppo stretta, angusta, limitante per la nostra fisicità o per i nostri sogni e le aspirazioni, eppure non troviamo la forza di superarla, di uscire dal primo cerchio per trovare quello che, sappiamo, è il nostro anello verde, ovvero la situazione in cui rendiamo al meglio delle nostre possibilità. Nell’editoria è l’impossibilità di leggere o scrivere altro dal nostro ambito preferito.

Giungiamo infine alla zona di “pericolo” ovvero quella situazione in cui ci sentiamo impreparati, professionalmente inadatti, minacciati. Questa foto però non mostra cosa c’è oltre la zona rossa. Perché sì, c’è dell’altro, l’importante è uscire dalla C.Z. e superare le paure, razionali o meno che siano.

I motivi per cui non riusciamo a uscire dalla C.Z. sono vari e non tutti relegabili alla “pigrizia” come ho sentito spesso giudicare, o alla mancanza di forza di volontà. Chi si occupa di ragazzi Hikikomori, ovvero coloro che si chiudono in spazi sempre più stretti – la casa e poi la sola stanza – per difendersi dal dolore che l’esposizione al pubblico causa alla loro psiche vilipesa, sa bene cosa intendo. La comfort zone è sia un rifugio, l’estrema difesa, che una prigione.

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Non posso né voglio indicare come uscire dalla gabbia o cosa impugnare come arma per tagliare le sbarre, ma voglio analizzare cosa c’è fuori dalla C.Z. per capire cosa può aspettarci. Chi sceglie di scrivere solo un determinato ambito letterario, lo fa spesso perché in quel campo “ha molto da dire”. Il maestro Stephen King dice infatti “scrivi ciò di cui sai” ed è un concetto assolutamente valido e condivisibile per poter produrre un buon lavoro. I nonni dicevano in milanese “Offellée, fa’ el to mestée”, ovvero “pasticcere, fai il tuo mestiere”.

Nota: Le offelle sono un tipico biscotto di Parona, diffuso tra Milano e la lomellina.

Questo indica come sia necessario per un professionista applicarsi nel proprio ambito, senza volersi improvvisare esperto anche in altri campi. La cosa vi dice nulla? Esatto! Oggi tutti esperti di vaccini, domani di meteorologia, dopodomani di politica internazionale! La cosa mi ha sempre fatto sorridere e dunque l’ho inserita in un lavoro “L’abito della Signora”, il mio romanzo storico appena uscito. Ecco lo stralcio, ambientato durante una giostra circense con cavalli ammaestrati e acrobati equestri, realmente avvenuta a Milano nel 1821:

Caterina non era lì solo per lo spettacolo, ma aveva in animo di studiare i concittadini e le loro inclinazioni verso gli austriaci. Quelli attorno a lei non parlavano d’altro che di cavalli, improvvisandosi esperti di ferri, di monte e di razze, per poi passare a discutere di giocoleria e dichiararsi esperti anche delle attività circensi. Se uno iniziava un discorso sulla guerra, eccoli tutti pronti a farsi mentori di strategia militare, di armi e tecniche, mentre se si azzardavano a nominare l’agricoltura, sbocciavano agronomi come fossero margherite nei campi. Caterina continuò a camminare tra i milanesi, anche quando entrarono i tre cavalli dal pelo lucido e perfetto.

Il fatto di non volersi “improvvisare esperti” non implica però che non ci si possa aprire a nuove esperienze e, un giorno forse davvero divenire esperti anche di altri ambiti.

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La C.Z. è a mio parere meglio rappresentata da questa immagine, in cui i cerchi non sono concentrici, ma si aprono all’avanzare della scelta. La prima sfera (dobbiamo immaginare queste zone come tridimensionali) è la COMFORT ZONE, giustamente grigia in quanto priva di spunti di colore, rappresenta il luogo fisico o mentale in cui ci sentiamo protetti, in cui abbiamo pieno controllo di ciò che accade. La seconda è la FEAR ZONE, la zona della paura, in cui perdiamo sicurezza e siamo soggetti alla critica e plasmati dall’opinione altrui: è la zona in cui è più facile “trovare scuse” per non approcciare il cambiamento. C’è poi la LEARNING ZONE, la zona dell’apprendimento, in cui ci confrontiamo con le sfide e i problemi e che ci permette di estendere il diametro della C.Z. a nuovi interessi. E’ qui che acquisiamo nuove capacità e nuovi talenti. C’è infine la GROWTH ZONE, la zona della crescita, in cui viviamo e realizziamo i sogni e gli obiettivi, accogliamo nuove proposte e ci poniamo nuove sfide, allargando sempre di più quello che consideriamo C.Z.

Tutto questo come si concretizza per un autore? Uscire dalla C.Z. significa misurarsi con generi letterari e modalità di scrittura che non ci sono propri: Thriller invece di Romance, Horror invece di Fantasy, o ancora narratore onniscente al posto di focalizzato, interno o esterno, narrazione in prima o terza persona eccetera.

Questo vale sia in scrittura che in editing, o in beta reading, o in lettura. Significa provare ad apprezzare altri punti di vista o, quantomeno, a porci nella disposizione d’animo di affrontarli. Da bambina, ad esempio, non avrei mai pensato che avrei potuto apprezzare gli Horror eppure, giunta all’adolescenza, sono diventata una divoratrice di libri di King e ho scritto anche racconti Horror. Avevo superato la C.Z. della narrativa classica per affrontare situazioni disturbanti. La C.Z. può infatti cambiare nel corso della vita e, ad esempio, tutta quella narrativa fortemente emozionale che tratta anche di argomenti difficili come la violenza sui bambini o la sofferenza degli animali, oggi mi è intollerabile e rientra in quella fear zone che cerco di evitare per proteggermi dal dolore e dal pianto.

Quindi la C.Z. cambia e deve cambiare nel corso della vita, è giusto così, fa parte della nostra evoluzione di esseri umani e di scrittori!

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