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“Loro temono ciò che non conoscono e distruggono ciò che temono.”

La grammatica, qualche consiglio

da | Mag 11, 2022

Foto dal Web

La situazione è Grammatica! Mi capita spesso di leggere incipit di romanzi (ovvero le prime 20-30 pagine) non ancora corretti o editati e, non so se per colpa degli insegnanti o degli scrittori stessi, sono pieni di errori di grammatica da far rizzare i capelli in testa. Li leggo per amici o conoscenti dei gruppi che mi chiedono la recensione, ma soprattutto per un noto concorso nazionale che, in quanto gratuito, spinge migliaia (davvero giuro!) di aspiranti scrittori a inviare il proprio lavoro di prima penna.

Non voglio certo fare qui una dissertazione sulla grammatica, ma solo lasciare qualche consiglio e spunto di riflessione per gli aspiranti autori, in modo da controllare bene il proprio lavoro prima di sottoporlo a chiunque, anche a una casa editrice, che potrebbe restare delusa da un testo pieno di errori e rifiutarlo proprio per questo. Personalmente rimanderei al mittente un testo in cui ci fossero ‘dialettismi’ come il tanto blasonato “sto apposto” o i raddoppi di consonanti. Significa non conoscere la propria lingua madre. Vediamo insieme quali sono le cose da controllare con attenzione.

PS. Mi chiamano Grammar Nazi non a caso…

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  1. PUNTEGGIATURA. Pare strano, ma le correzioni che segnalo contengono SEMPRE una indicazione per la revisione della punteggiatura. Tenete conto che la cosa migliore da fare, è rileggere le frasi ad alta voce. Dove la voce fa pausa naturalmente, lì serve una VIRGOLA, è il respiro stesso che la chiede. Quando due frasi sono collegate, ma serve una pausa più lunga tra le due, ecco che si usa il PUNTO e VIRGOLA. Quando la frase finisce, c’è il PUNTO FERMO.
    I DUE PUNTI, nonostante qualche editor sia allergico, servono assolutamente, quando preparano la lettura a una spiegazione del concetto appena espresso, specie se è un elenco. Inoltre si usano in apertura di un dialogo, insieme al verbo che indica il parlare, l’enunciare: “disse”, “gridò”, “intervenne”.
    A conclusione delle frasi interrogative o esclamative abbiamo il PUNTO INTERROGATIVO o ESCLAMATIVO. Entrambi si usano come segno SINGOLO, mai abbinati insieme e mai più di uno alla fine della frase!!!11!!!!1111oneoneone.
    Mentre è intuitivo l’uso del punto interrogativo, ho visto qualche difficoltà in più sull’esclamativo che DEVE esserci quando la frase è un inciso gridato, forte e conclusivo, mentre non va usato in situazioni meno emotive, quando basta un punto fermo.
    Ultima nota riguarda i PUNTINI DI SOSPENSIONE, che vanno usati con parsimonia, quando un DIALOGO (e non la parte narrativa) prevede un’incertezza del parlante o quando un altro interlocutore interrompe e si sovrappone. Sono da usare sempre e solo in numero di TRE.
    L’apostrofo taglia articoli determinativi che terminano con la stessa vocale della parola successiva (la amo -> l’amo), oltre a essere presente nell’indeterminativo “un” quando la parola successiva inizia per vocale ed è femminile (una automobile -> un’automobile), mentre al maschile non c’è (un uomo). Non è nulla di sessista, io sono profondamente contraria ai nuovi segni come asterischi per evitare di dare un genere alle persone o, nei casi più assurdi, anche alle cose. La nostra lingua non prevede il neutro, abbiamo due generi e tant’è, non è certo un asterisco a garantire dignità ed equità alla vita delle persone.
  2. DIALOGHI. Ci occuperemo in altro articolo di come costruire un dialogo efficace e chiaro, privo di errori, ma in questo ambito parlo della punteggiatura nel dialogo. Personalmente sono una sostenitrice delle CAPORALI: «…»
    L’uso di questi simboli ci permette di usarne poi altri per incisi o citazioni entro il parlato, senza timore di rendere la frase incomprensibile e, come detto prima, presentare bene il nostro lavoro ci farà guadagnare punti. Quando un personaggio che parla cita a memoria qualcosa di riportato, sia esso una citazione o un altro dialogo, si mette il VIRGOLETTATO SEMPLICE. Ad esempio: «Non ci crederai mai! Maria mi ha telefonato e mi ha detto: ‘ma che diavolo ti passa per la testa?’»
    Il TRATTINO, la BARRA OBLIQUA o le PARENTESI per sostituire le virgole, per un inciso o una spiegazione, è adatto ai testi divulgativi, non ai romanzi. Un esempio? Maria – che era una testa calda – telefonò a Mario e…
    La punteggiatura in un dialogo non è cosa facile, cerco di sintetizzarla al massimo.
    -Se il discorso è diretto, la punteggiatura è DENTRO le caporali. Esempio: «Vado a telefonare.»
    -Se il dialogo è presentato da una frase, la punteggiatura va FUORI. Esempio: Mi disse: «Vado a telefonare».
    -Se il periodo è complesso, si distingue se ha una sua punteggiatura (ad esempio una interrogazione) e allora è DENTRO le caporali o se non la ha e quindi la aggiungo FUORI. Esempi: Mi disse: «Vado a telefonare», e prese il cellulare. Oppure: Mi disse: «Vado a telefonare…» e prese il cellulare.
    -Se ho un inciso nel dialogo, la regola è la stessa, in mancanza di una punteggiatura propria del dialogo, la aggiungo FUORI, altrimenti la lascio DENTRO, ma sempre segue una MINUSCOLA nell’inciso e sempre non si mettono doppi “due punti”, ma uno solo all’inizio della frase, quando c’è l’enunciazione. Ultima nota, se la frase dopo l’inciso continua, inizia con la minuscola, ma se è stata fermata da un punto fermo, inizia con la maiuscola. Esempi: «Vado», disse, «a telefonare.» Oppure: «Vado?» disse. «A telefonare?»
  3. PENSIERI E CITAZIONI. Quando si fa una citazione in lingua straniera, è bene metterla in CORSIVO, anche se si tratta di una semplice parola che non sia già nel nostro vocabolario, specie se è un neologismo inventato dall’autore o da poco in circolazione. Esempio: Quel libro è un autentico Best Seller. Quel libro è un autentico flop. Importante è, quando si usa una lingua straniera, scriverla correttamente. Boudoir è francese e non si scrive “buduar”!
    Quando si cita un pensiero del personaggio, è corretta l’alternanza di carattere normale e CORSIVO e, nel caso di una citazione entro un pensiero, ci vengono in aiuto le virgolette semplici. Ecco tre esempi:
    Certo che Maria è una proprio una testa calda, pensò Mario, cosa avrà voluto dirmi con quella telefonata?
    Certo che Maria è una proprio una testa calda, pensò Mario che andò a sedersi sulla chaise longue, cosa avrà voluto dirmi con quella telefonata?
    Certo che Maria è proprio una testa calda, pensò Mario, chissà cosa fa nel suo ‘boudoir’!
  4. RIENTRO, SPAZIATURA, GIUSTIFICAZIONE. Un buon lavoro è anche leggibile e fruibile, quindi meglio scegliere una spaziatura di 1,5 con una organizzazione della pagina “giustificata”, ovvero con le lettere distanziate in modo da arrivare sempre a fine riga con la parola intera e limitare il più possibile il trattino per andare a capo, cosa che crea altri strafalcioni grammaticali!
    Utile infine un rientro di mezzo centimetro all’inizio dei paragrafi, in modo che ci sia una spaziatura visiva che favorisca la lettura e impedisca il più possibile all’occhio di “perdersi” in un wall of text pesante e inaffrontabile.
  5. MAIUSCOLE E MINUSCOLE. E’ evidente che a inizio frase, dopo un punto fermo o punti interrogativi, di sospensione ed esclamativi ci voglia la maiuscola, così come è evidente per i nomi propri di qualsiasi tipo. Quello cui bisogna fare attenzione, sono anche certi nomi che vogliono la maiuscola o altri che, nonostante quello che ci direbbe la logica, non la vogliono. Un esempio sono i punti cardinali: se indicano la direzione da prendere sono minuscoli, ma se indicano un luogo geografico specifico, universalmente riconosciuto (come entità geografica, sociale, politica), sono maiuscoli. Esempio: Ci dirigiamo a nord / viaggiamo verso il Sud-Est Asiatico. Dire che viaggiamo verso il nord est italiano invece vuole il minuscolo, perché non è un areale disgiunto e identificato in maniera univoca.
  6. CONSECUTIO TEMPORUM. Ovvero le concordanze dei tempi verbali. Qui cascano molti asini. E non so se sia un problema da attribuire alla scuola (ricordo che la mia maestra delle elementari ci fece picchiare la testa a lungo su questo aspetto e lo stesso il professore alle medie), ai programmi ministeriali semplificati a prova di imbecille (sì lo so, sono molto critica su questo punto) o se sia una leggerezza degli autori, troppo abituati al T9 e ai social per preoccuparsi di come si scriva correttamente. Fatto sta che in ogni incipit che ho letto, almeno un errore di tempi verbali c’era. Condizionali e congiuntivi fanno crollare anche persone che, nel resto del testo, hanno una buona penna e mostrano una certa cultura nell’uso dei vocaboli e nell’organizzazione del lavoro. Le frasi subordinate sono una ‘croce e delizia’, nel senso che, se sono fatte bene rendono il testo complesso e affascinante, ma se sono troppo lunghe o pesanti, rendono ostica la lettura. Il discorso sarebbe troppo lungo per le pretese di questo articolo, quindi, come per altri aspetti della grammatica, la consecutio va solo studiata!
  7. ACCENTI. Gli accenti nella lingua italiana sono pochi rispetto ad altre lingue e spesso non sono indicati, come ad esempio ‘ancora’, che con l’accento sulla prima A è un sostantivo, mezzo marittimo per fissare le navi al fondo, mentre sulla O è un avverbio di tempo. Alcuni in questo caso mettono una “à” accentata per il ferro marittimo, ma non tutti la accettano e soprattutto i correttori automatici (siano essi benedetti per la fase di correzione refusi), la indicano come errore. Gli accenti in italiano sono solo due: gravi e acuti. Ecco alcuni esempi tratti dall’enciclopedia Treccani:
    In alcuni casi, la differenza di apertura, segnalata nello scritto dall’accento acuto, serve a distinguere parole omografe come bótte (contenitore) ~ bòtte (percosse), chiése (verbo) ~ chièse (plurale di chiesa), nei casi in cui il contesto non basti a disambiguarle.
    L’unica diversità per noi nella scrittura è nell’accento della E che può essere grave “è” o acuto “é”. Vale la pena soffermarsi su alcune particolarità accentate: perché, finché, né, sé sono acuti, non gravi. Da notare che Né e Sé sono diversi da Ne e Se. Esempio. ‘Non ci sono né pane, né acqua, le ha tenute tutte per sé. Se le dividesse, ne avremmo anche per noi.’ L’accento grave va su parole più antiche, come caffè e tè, oltre che al verbo essere terza persona singolare dell’indicativo: egli è.
    Ricordiamo infine che Po inteso come fiume non ha accento, come molte altre parole che finiscono tronche, e che quindi la voce accenterebbe naturalmente. Ma quando in una frase ho la parola “po”, essendo un taglio della parola “poco”, si usa un apostrofo: «Dammene un po’» (si noti qui come siano perfette le caporali invece delle doppie virgolette alte (all’inglese “…”). “Pò” non esiste!
    Sempre per disambiguare e calcare un accento, troviamo che Sì e Lì intesi come avverbi sono accentati, mentre Si e Li intesi come pronome, non lo hanno: “Sì, è corretto, li troverai lì.” e “Si accomodò, prese i fogli e li pose sulla scrivania.”
  8. VOCALI EUFONICHE. Sulla vocale eufonica non si sbaglia, è molto semplice: ha D si mette SOLO quando le vocali di inizio sono le stesse della congiunzione o della preposizione. Esempio: ‘Vado ad Anversa’ è corretto, ‘ed altri esempi’ è errato.
  9. NUMERI e SIMBOLI. Come indico numeri, orari e date? Questa è una domanda che si pongono in molti. Le date sono SEMPRE in numero (il mese in parola) e così lo sono gli orari precisi e i numeri precisi, specie se molto grandi, mentre vanno in parola tutti gli altri casi: ‘Costò un 1.457 euro’, oppure, ‘Costò un milione di euro’. In caso si stia riportando una mail, o uno scambio di sms e anche graficamente si sia scelto di dare quell’impronta allo scritto, si possono lasciare simboli, barrette e numeri.
  10. ARTICOLI, PRONOMI, AVVERBI. In conclusione veniamo all’altro nodo cruciale. Premesso che tutti dovremmo conoscere gli articoli determinativi (il, lo, la, i, gli, le), il problema sorge nel concetto di pronome “gli” inteso come “a lui” o “a loro” (mentre invece a lei si dice “le”). Basta però fare una banale analisi grammaticale della frase e passa la paura: a chi mi sto rivolgendo? A un lui (o neutro) o a una lei? Tenete conto che per la terza persona plurale è tanto elegante (anche senza necessità di disambiguare la frase) mettere invece “loro”. Invece che “gli dissi di…”, “dissi loro di…”. Assolutamente da fucilare “li dissi”!
    Alcuni editor sono allergici agli avverbi che finiscono in -ente: assiduamente, coerentemente. E li fanno eliminare dalle frasi. Sono parole mediamente lunghe, in effetti, ma se usate con parsimonia e se il loro uso elimina una lunga perifrasi, ben vengano gli avverbi!

Vi lascio con una chicca tratta dal film “Brian di Nazaret”, un capolavoro che vi consiglio di cercare e guardare assolutamente!

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