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“Loro temono ciò che non conoscono e distruggono ciò che temono.”

La Trama parte 2: stili narrativi

da | Mar 12, 2022

Foto dal Web

Cos’è un buon libro se non una combinazione tra una bella storia e la capacità dell’autore di narrarla? Se mancano uno o l’altro, il libro sarà sempre monco, zoppicante. Dedicherò il prossimo articolo a esercizi di scrittura e accortezze per lo stile, ma in questo occorre sviscerare l’altro caposaldo di una pubblicazione: la storia.

In sartoria, le due principali parti di un tessuto sono l’ORDITO e la TRAMA. In latino, Ordire significa iniziare qualcosa e, infatti l’ordito sono i primi fili (verticali sui normali telai) che vengono fissati alla struttura, mentre Trama deriva da trans meare, ovvero passare oltre, attraverso, infatti la trama è quella struttura che si crea, in rapporto ai fili di ordito, quando la spoletta passa tra i fili e crea un intreccio.

Si potrebbe pensare che la spoletta faccia semplicemente una riga passando sopra e sotto i fili di ordito, invece no, giocando sui pedali che spostano le varie righe di ordito, è possibile modulare il passaggio della trama e creare disegni sempre nuovi e diversi sul tessuto.

Allo stesso modo nella stesura di un romanzo, l’ordito rappresenta i fili principali dell’idea primigenia:

  • ambientazione (luogo e tempo)
  • protagonista/i
  • antagonisti/i
  • fattore scatenante
  • capisaldi

La trama è data invece da tutti quei passaggi di ingegno e fantasia che uniscono in vario modo i capisaldi, attraverso descrizioni, dialoghi, innovazioni ed espedienti.

Una regola aurea che riguarda la lavorazione del romanzo, riguarda il concetto delle 5C che ho espresso nel precedente articolo. Il mio consiglio è di preparare un piano di lavoro, in modo da non uscire mai dal seminato, specie se stiamo scrivendo un giallo o un romanzo in cui l’intrigo e il gioco di sottintesi tra i personaggi la fanno da padrone.

Ogni autore ha il suo stile e deciderà quale sarà il punto di vista (anche questo affrontato in un precedente articolo), ma ci sono alcuni errori che vale la pena segnalare.

N.B. Alcuni Editor hanno ‘allergie’ a certe scelte stilistiche degli autori, per esempio nella grammatica non vogliono gerundi o participi, non vogliono puntini di sospensione o due punti e hanno anche leggere intolleranze sul punto e virgola. Nello stile poi non vogliono flash back o troppi cambi di punti di vista. ebbene io non ho in mente sindacare sullo stile di nessuno, ma di mostrare in che modo alcuni ‘errori’ nella stesura del romanzo disturbino la lettura e perché.

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Show don’t tell – (SdT) Show in inglese significa mostrare, tell significa raccontare. La dicitura si può tradurre con una parafrasi di questo tipo: “Se tu mi racconti, stai facendo una cronaca, se mi mostri quello che accade, è una storia.” E’ un concetto che entra di prepotenza nella narrativa moderna in contrapposizione con gli autori classici, che usavano il solo metodo del narratore onnisciente, ovvero un osservatore divino che dall’alto presentava e giudicava i fatti e le azioni dei personaggi. Iniziamo col dire che lo Show don’t tell non è una regola assoluta. Esistono alcune situazioni, in cui una discreta presenza dell’autore che racconti una storia, rende più facilmente scorrevole un paragrafo, senza dove per forza affidare quella parte necessaria di storytelling ai personaggi attraverso escamotages come i flash back o gli spiegoni.

Per capire bene la differenza tra i due tipi di narrativa, classica e moderna, possiamo considerare l’effetto che tali narrative hanno su di noi lettori. Indubbiamente quella moderna ci appare più incalzante, rapida, coinvolgente dal punto di vista emotivo e completamente immersiva. Il romanzo d’avventura di successo di oggi non è tale se rallenta nel ritmo o è troppo descrittivo. Un mostro sacro come Tolkien probabilmente oggi, se fosse esordiente, non verrebbe notato dalle case editrici, che cercano prodotti commerciali e commerciabili con facilità, ovvero che raggiungano il gradimento in più fasce di pubblico possibile o che abbiano già un numero adeguato di followers.

Quando leggiamo un testo datato, al di là della diversità della lingua italiana, ci accorgiamo di alcuni passaggi che non esistiamo a definire ampollosi, retorici, finanche barbosi a causa dei lunghi periodi pieni di subordinate e della costante presenza del narratore onnisciente che ci racconta le cose, prendendoci per mano e facendoci volare al suo fianco, ben sopra i personaggi. Questa situazione ci porta a un distanziamento emotivo nei confronti dei fatti e dei personaggi che rimangono dietro la facciata patinata di un racconto che viene ad assomigliare a un saggio sull’argomento, più che a un romanzo.

Scegliere di seguire lo SdT o meno dipende dal nostro target. E’ chiaro che se sto cercando di sfondare nella narrativa per il grande pubblico, devo sposarlo e farmici pure ingravidare, ma se sto scrivendo un racconto per bambini, lasciare le moderne tecniche in un cassetto non è affatto male. Allo stesso tempo, in quei romanzi tinti a pennellate d’ocra o di pastello non dà fastidio che il lettore galleggi sopra i personaggi e non si immedesimi in uno di essi in particolare, ma li “adotti tutti” e ne spii la vita da estraneo.

Il mondo degli autori si divide in sostenitori dello SdT o suoi denigratori. Se provate a leggere articoli di sostenitori dello SdT, probabilmente vi faranno pessimi esempi di una narrativa classica e bellissimi esempi della loro teoria.

  • Narrativa classica: Etienne vide Cécile e la baciò.
  • SdT: Etienne vide Cécile e si avvicinò alle sue labbra, percependone il calore del respiro ecc…

Nel primo caso sto raccontando una storia, nel secondo sto facendola vivere mostrando le azioni. Ebbene ora vi mostro una terza possibilità.

  • Vide Cécile e la baciò, poiché tutto lo spingeva verso di lei, le sue labbra, il refolo caldo del suo respiro.

Questo terzo caso dovrebbe rientrare nella narrativa classica perché io, autore, interpreto il pensiero di Etienne e sto al di sopra di loro. Eppure non è allo stesso modo emozionante?

Dichiarazione di intenti – altro punto di rottura tra i due mondi, classico e moderno, la dichiarazione di intenti è quel modo di scrivere una frase in cui è già chiaro cosa sia successo. Esempio: Lo colpì e lo uccise.

Nel fatto che esprimo già il destino della persona colpita, vado a perdere la suspance di sapere se il mio colpo ha fatto danni e di che entità.

Se scrivessi: Gli sparò in volto, secondo i sostenitori dello SdT non sto raccontando, ma mostrando. Ebbene la differenza è molto sottile e un buono storytelling può prescindere dallo SdT pur senza togliere pathos alla scena, basterebbe condire quel “e lo uccise” con qualcosa di più.

Flash back – letteralmente è una immagine di un evento passato che io vedo “guardandomi indietro”. Nella narrativa è quel paragrafo o capitolo che si inserisce nella cronologia della narrazione recuperando un fatto passato che, in quel momento, deve giungere a spiegare una situazione o prevenirne una del prossimo futuro. Il flash back può essere utile per vari motivi: spezzare un eccesso di tensione, offrire una visione antecedente ai fatti, contestualizzare un comportamento o un evento.

Per gli stessi motivi, però, può anche essere la classica zappa sui piedi, per non dire la classica martellata sulle gonadi: se sono in un momento di grande suspance crescente e tutte le mie emozioni stanno trillando come il centralino del 119, se un autore mi piazza lì il flask back io mi incazzo, è come quando scatta la pubblicità nel bel mezzo della scena madre di un film.

-piccolo inciso- Personalmente ritengo che questa scelta delle tv private di rompere il ritmo di un film, pensato dal regista per avere un primo tempo e un secondo ben divisi, in punti assurdi, abbia contribuito ad anestetizzare le emozioni degli spettatori. Anche le serie tv, per assurdo, hanno dei momenti di pausa studiati per fermarsi in determinati punti con dei cambi di scena equilibrati. Invece sempre più spesso si vede come l’acquisto dello “spazio pubblicitario” venga assoggettato all’orario preciso suggerito dagli analisti di mercato. Se è più produttivo che gli assorbenti o le creme per le emorroidi vengano viste alle 23.55, la tv privata vi romperò a metà la scena della carica dei Rohirrim pur di mettervi davanti le sputazze insanguinate delle stomatiti. E cosa fa la nostra tensione? Cosa fanno le emozioni? Si ammosciano e noi restiamo a vegetare con l’attenzione a mille, davanti a quello spot che avrà ottenuto il suo fine: farsi vedere e ricordare.

Allo stesso modo la visione di un fatto antecedente se è “una tantum” va bene, ma se diventa la costante del romanzo, o viene strutturata con estrema attenzione, legando le parti con delle solide motivazioni, o si rischia che il lettore si perda via tra passato e presente.

In Memorie dal Buio, Amanuet (di cui potete leggere un estratto qui), ci sono molti flash back, perché la narrazione salta dal tempo attuale ai fatti del 1943, ma seguono un filo logico e sono funzionali allo sviluppo del mistero, perché offrono nuove tessere del puzzle e progrediscono come due storie parallele intervallate.

Spiegone – a meno che stiamo scrivendo un saggio, lo spiegone nel 90% delle volte risulterà barboso e tracotante, in quanto vedremo emergere il narratore onnisciente che specifica e spiega ogni dettaglio. Esiste tuttavia un modo per “salvare” anche questo espediente, che praticamente tutti gli editor moderni cancelleranno col lapis rosso correndo a farsi un paio di puff di cortisone per riuscire a respirare di nuovo. Se lo spiegone non è eccessivamente lungo e si intercala come riflessione intima del personaggio alla ribalta in quel momento, potremmo riuscire a inserire tutti quei dati che non ha senso far dire in dialogo, senza cadere nel tranello del “professorone”.

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