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“Loro temono ciò che non conoscono e distruggono ciò che temono.”

Il Miele

da | Mar 7, 2024

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Da quando ho adottato due arnie, ho scoperto il mondo dell’apicoltura e la meravigliosa organizzazione degli alveari e degli sciami ed è giunto il momento di parlare del prodotto più importante e conosciuto delle api: il Miele. Dopo l’oro nero della liquirizia, trattato nel precedente articolo nell’Armadietto di Draco ecco quindi l’oro liquido, quel cucchiaino dolce e avvolgente che una singola ape produce nella sua breve vita di appena quaranta giorni.

Il miele è infatti il prodotto che le api, domestiche o selvatiche, producono a partire dal nettare bottinato nei fiori e composto principalmente da glucidi, come saccarosio, glucosio e fruttosio, con un tenore d’acqua che può arrivare fino al 90%. La produzione del miele comincia nell’ingluvie dell’ape bottinatrice (la cosiddetta borsa melaria), dove il nettare raccolto viene accumulato. All’interno dell’ingluvie comincia il processo di trasformazione del nettare in miele, grazie principalmente all’enzima invertasi, che attiva il processo di idrolisi del saccarosio in glucosio e fruttosio. Giunta nell’alveare, l’ape rigurgita il nettare, che a questo stadio si presenta molto liquido, e tramite un processo di passaggio di ape in ape chiamato trofallassi il nettare si carica di enzimi e perde umidità.

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L’elaborazione del nettare viene ultimata con la sua disidratazione, fino ad arrivare a un’umidità naturale variabile di circa 16-23%, che consente la conservazione del miele. A questo scopo, le api operaie lo depongono in strati sottili sulla parete delle celle. Le api ventilatrici mantengono nell’alveare una corrente d’aria che determina un’ulteriore evaporazione dell’acqua. Il miele impiega in media 36 giorni per maturare, ma la durata varia a seconda dell’umidità iniziale del nettare, della temperatura e dell’umidità ambientale. Le cellette dei favi, una volta piene, saranno sigillate da un opercolo.

Nell’alveare tutto è organizzato a puntino: una singola regina, dopo un unico volo nuziale, può vivere 4-5 anni e continuare a produrre uova di operaie, fuchi (i maschi) o nuove regine, sia per dividere l’alveare in due famiglie e “sciamare” in cerca di una nuova casa, sia per creare la nuova regina che la rimpiazzerà quando ormai si avvicina alla sua fine. Le regine allevate vengono marcate con un piccolo puntino di colore, innocuo per lei, sul torace, in modo da renderla subito visibile (è comunque molto più grande delle sue figlie operaie) e sapere di che anno è: infatti a ogni anno è associato un colore standard. Tutte le uova vengono disposte nelle celle di “covata”, situate di solito nella parte centrale, mentre ai lati ci sono le riserve di cibo e qui vengono pulite, nutrite e accudite dalle più giovani tra le api, quindi un’ape neonata come primo lavoro farà la babysitter dentro l’alveare e solo in seguito diventerà bottinatrice di acqua, poi di nettare e, verso la fine della sua vita, sarà eletta a soldato.

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Questi passaggi sono perfetti per le api, poiché i soldati sono coloro che si sacrificano, pungendo i nemici e morendo in difesa dell’alveare ed è giusto che siano le più vecchie a farlo, quelle già prossime alla morte, ma intanto, nuove generazioni si preparano a svolgere i loro compiti così importanti per l’alveare e per la vita stessa dei vegetali sulla terra. Api e insetti impollinatori infatti, sono responsabili della riproduzione dei fiori e di tanti vegetali e, senza di loro, tutta la vita morirebbe inesorabilmente.

Il miele si conserva talmente bene, che se il barattolo è a chiusura ermetica o comunque bel curata, può resistere anche per millenni, tanto che è stato trovato un vasetto di miele in una tomba egizia del 1300 AC ancora in buono stato di conservazione. La storia del miele però è anche più vecchia di quel vasetto, perché già dal VI millennio AC sono state trovate indicazioni di alveari artificiali per allevare le api e il nome stesso pare venire dall’antico ittita “Melit“. oggi si usano vari modelli di arnia, dal tradizionale a castello, con i telai prestampati a cellette di cera su cui le api costruiscono i loro favi, fino alle novità, come quelle che ho scelto io, le top-bar, in cui le api sono libere di costruire da zero il loro favo come in natura.

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Nell’antico Egitto il miele era apprezzato: risalgono a 4000 anni fa le prime notizie di apicoltori che si spostavano lungo il Nilo per seguire, con le proprie arnie, la fioritura delle piante. Gli Egizi usavano deporre accanto alle mummie grandi coppe o vasi ricolmi di miele per il loro viaggio nell’Aldilà. Dalla decifrazione dei geroglifici è risultato palese che ricette a base di miele erano impiegate non solo a uso alimentare, ma anche medico, per la cura di disturbi digestivi e per la produzione di unguenti per piaghe e ferite, grazie alle sostanze antibiotiche naturalmente presenti nel miele e alle sue proprietà cicatrizzanti.

Mi è capitato stesso di applicare il miele non pastorizzato sulle ferite degli animali e sulle mie e al pari dell’aloe (efficace più sulle cicatrici già formate, e di cui parlerò un un prossimo articolo), si è rivelato un ottimo prodotto, anche migliore di costosi rimedi farmaceutici. I Sumeri lo impiegavano in creme impastate con argilla, acqua e olio di cedro, mentre i Babilonesi ne facevano uso culinario: erano diffuse focaccine fatte con farina, sesamo, datteri e miele. Nel Codice di Hammurabi si ritrovano articoli che tutelano gli apicoltori dal furto di miele dalle arnie.

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I Greci lo consideravano “cibo degli dei”, perché rappresentava una componente importantissima nei riti che prevedevano offerte votive. Omero descrive la raccolta del miele selvatico; Pitagora lo raccomandava come alimento per una vita lunga. I Romani ne importavano grandi quantitativi da Creta, Cipro, dalla Spagna e da Malta. Da quest’ultima pare anche derivarne il nome originale Meilat, appunto “terra del miele”. Veniva utilizzato come dolcificante, per la produzione di idromele, di birra, come conservante alimentare e per preparare salse agrodolci. Nella alimentazione medievale il miele aveva un ruolo ancora centrale, seppure ridotto rispetto all’antichità, ed era usato principalmente come agente conservante oltre che dolcificante.

Il miele fu gradualmente soppiantato come agente dolcificante nei secoli successivi, soprattutto dopo l’introduzione dello zucchero raffinato industrialmente. Solo recentemente, in virtù delle riconosciute proprietà terapeutiche, il miele sta ritornando in voga.

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In commercio si trovano mieli di diverse fluidità e colori, e ciò dipende dai fiori prevalenti o esclusivi nel periodo di bottinatura e dalla disidratazione del prodotto stesso. L’anno scorso le mie piccole amiche hanno prodotto due tipi diversi di miele, prima un millefiori, poi uno di castagno. L’apicoltore esperto conosce i periodi di fioritura e toglie i favi su cui le apine stanno lavorando in modo da ottenere il prodotto puro che preferisce.

Le api non producono però solo il miele: il loro corpo produce naturalmente, senza bisogno di materie prime, sia il veleno che iniettano con il pungiglione, la pappa reale e la cera. Il pungiglione è un capolavoro di ingegneria, perché ha una forma a punta di freccia che lo rende difficile da estrarre e, sebbene sia ancorato all’intestino dell’ape che quindi andrà a morire, una volta punto il nemico, può continuare a muoversi anche dopo il distacco e pompare altro veleno nel foro di ingresso. Regina e fuchi non hanno il pungiglione, prerogativa delle operaie, ma tutte possono anche dare dei “morsetti” di avvertimento.

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La cera viene prodotta dalle ghiandole ceripare, situate sotto l’addome e viene raccolta dalle zampe e lavorata con le mandibole per creare le cellette o per sigillare l’alveare. La pappa reale invece viene prodotta attraverso due ghiandole, dette ipofaringee: si tratta di una sostanza gelatinosa di colore bianco ricca di proteine che serve a nutrire le piccole larve fino a tre giorni e l’ape regina per tutta la vita. La pappa reale viene prodotta dalle api dopo che hanno mangiato una grande quantità di polline di fiori ed è un alimento di eccezionale valore, un concentrato di sostanze vitali molto utili anche per l’uomo.

Invece grazie alle materie prime producono la propoli attraverso resine e balsami speciali che le api bottinatrici raccolgono dalle gemme di diverse piante: una volta elaborate, sono trasformate in propoli, usata per costruire barriere di difesa, ma anche come antibatterico all’interno dell’alveare. Il polline infine è raccolto come polvere che rimane attaccata sulle zampette pelose quando entrano in un fiore per succhiare il nettare. Con le spazzole che hanno sulle zampe anteriori lo mettono nelle due “cestelle del polline” delle zampette posteriori così possono trasportarlo comodamente all’alveare. Il polline rappresenta l’unica fonte proteica per le api e quindi è importante per la loro crescita. Il suo contenuto proteico e vitaminico lo rende un alimento utile anche per l’uomo, in particolare per i bambini, per gli anziani, come ricostituente.

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Usi farmacologici:

Il miele possiede un’elevata concentrazione zuccherina e in soluzione beneficia dell’azione della glucosidasi contenuta: questo enzima, inattivo nel miele puro, in soluzione si attiva, trasformando il glucosio in acido gluconico e acqua ossigenata; ciò consente di proteggere il miele in formazione dalla presenza di batteri, quando ancora non agiscono l’acidità e la concentrazione di zuccheri.

Nella medicina erboristica, il miele è suggerito per la cura del sistema emopoietico (grazie alla ricchezza di sali), del sistema cutaneo (favorisce la cicatrizzazione e l’idratazione), del sistema nervoso (migliorerebbe sonno e concentrazione), dell’apparato respiratorio (contro tosse e catarro, sciolto in latte o tè), dell’apparato circolatorio (si presuppone abbia un’azione ipotensiva), dell’apparato digerente (regolarizzerebbe l’attività escretoria dei succhi gastrici e della flora batterica, migliorerebbe l’assorbimento di calcio e magnesio, sarebbe leggermente lassativo fatta eccezione per quello di lavanda o castagno).

Le proprietà antibatteriche e antiossidanti del miele sono oggetto di studi scientifici approfonditi. Queste sono massime nel miele fresco e diminuiscono nel tempo e con esposizione alla luce e calore, mentre nel miele pastorizzato possono essere completamente assenti.

Curiosità: nell’antico Egitto, uno dei nomi di incoronazione dei faraoni era Nysut bity, ovvero “del giunco e dell’ape”, poiché il nuovo re doveva essere flessuoso come un giunco, che si presta agli strali delle tempeste senza spezzarsi e operoso come un’ape per il suo popolo.

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La ricetta di Zel

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Sebbene ci siano migliaia di ricette in cui il miele è l’ingrediente principale, soprattutto in pasticceria, oggi riporto la ricetta dei Dorayaki giapponesi così come l’ho messa a punto negli anni.

Si inizia sbattendo 2 uova con 50 gr di zucchero, poi si aggiungono 100 gr di farina, un cucchiaino di miele e due di acqua in cui è stato sciolto un cucchiaino di lievito per dolci. Si ottiene una pastella che va fatta riposare mezz’ora, prima di cuocerla in una padella antiaderente appena unta con olio di semi o burro.

L’impiattamento prevede due dorayaki uniti, come un disco volante, al cui interno viene spalmata della crema di nocciole (o mandorle o pistacchi), marmellata di frutta o, come nella tradizione giapponese, di fagioli rossi Azuki.

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