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“Loro temono ciò che non conoscono e distruggono ciò che temono.”

La stanza di Pandora – Christopher Golden

da | Gen 17, 2023

Foto dal Web

Questo libro è stato il primo ebook acquistato per provare il lettore Kobo che mi è stato regalato a Natale; la scelta è ricaduta su questo romanzo che prometteva un’indagine archeologica, medica e soprannaturale, tutte materie che mi appassionano. Inutile dire che quando si carica un testo di tante aspettative, è ben peggio quando queste non solo vengono disattese, ma fanno percepire la sensazione che una bellissima idea sia stata resa male e ormai “bruciata”. Chiunque infatti volesse scrivere meglio delle città sotterranee della Cappadocia e delle zone limitrofe o parlare del mito di Pandora, verrebbe additato come emulo. Vediamo ora nel dettaglio come mai mi sento di sconsigliare questo testo.

Come ho scritto anche in vari articoli della sezione “Scuola di scrittura”, uno dei punti di forza di un romanzo è l’incipit, che deve tenere il lettore incollato alla storia. Ebbene in questo romanzo l’incipit veleggia tra momenti di interesse e momenti di estrema lentezza. Come mai questo errore? Premetto che l’autore ha scelto il punto di vista del narratore onnisciente, che ci porta a conoscere ogni personaggio nel suo intimo e nei suoi ricordi, nel modo che ha di vedere la situazione. Quindi, a fronte di un evento che scatena una reazione o un pensiero, già dall’incipit l’autore parte con un excursus sul passato del personaggio. A volte è addirittura per pubblicizzare il romanzo precedente (orrore!), altre volte è per dare informazioni e delineare i personaggi (che in questo romanzo sono davvero tanti).

Cosa accade quindi? Beh il ritmo dell’azione risulta spezzato e, ad esempio, già nelle prime pagine assistiamo a una scena che dovrebbe essere a tensione crescente, con la protagonista pedinata da loschi figuri, ma che viene smorzata da alcuni racconti del rapporto di lei con i colleghi archeologi. Così facendo, acquisisco delle informazioni che mi potranno sicuramente servire in futuro, ma che in quel momento risultano distraenti e spezzano il pathos. E questo è un errore che viene compiuto spesso nel romanzo, che infatti ha più l’andamento di una cronaca e riesce poco a emozionare.

Il narratore onnisciente, che la moderna editoria classifica come “vetusto”, a mio avviso non è certo da demonizzare, perché il problema non è questo metodo di scrittura, ma la facilità che questo metodo ha di indurre il narratore a sommergere il lettore di informazioni, quello che si chiama “infodump”, con lo stesso flusso di coscienza dell’autore, che non è il ritmo di lettura del fruitore finale. Tra l’altro poi, in una trama in cui c’è un traditore, un colpevole o un assassino, vedere che tutti i personaggi vengono sviluppati tranne lui, fa venire due dubbi fin da subito che sia qualcuno da cui guardarsi.

Questi errori, aggiunti a una grammatica a volte discutibile nei tempi verbali (per fortuna di rado e può essere un errore della traduzione italiana), a continue ripetizioni di termini e un vocabolario povero di sinonimi, rendono la lettura noiosa. Ad esempio in una pagina viene ripetuto tre volte la parola “tuta hazmat”, che è quella tuta integrale anti microbica e spesso viene sottolineato come i movimenti dei personaggi che la indossano siano impacciati ed emettano scricchiolii. Ecco, io credo che dirlo una volta fosse sufficiente e che la tuta hazmat abbia dei sinonimi per evitare ripetizioni.

E’ un vero peccato che lo stile e la caratterizzazione dei personaggi traballino, perché l’ambientazione è davvero superlativa: le città scavate nel tufo, dalla Cappadocia ai mondi del Kurdistan, sono affascinanti e, resi con la giusta combinazione di parole, evocativi e spaventosi. Nella foto, un dettaglio di una di queste città.

Foto dal Web

Veniamo alla trama, che in sé è semplice: un gruppo di archeologi trova la città e una stanza segreta in cui degli avvertimenti antichi suggeriscono di non esplorarla oltre. Naturalmente, per amor di scienza, la protagonista lo fa lo stesso e trova il vaso di Pandora, il mitologico vaso che conteneva tutti i mali del mondo e che Pandora, spinta dalle “curiosaggine” (cit.), apre, disperdendo i mali nel mondo tranne la speranza, che rimane intrappolata al suo interno dal repentino chiudere del tappo. Per qualche pagina si profila la teoria delle due sorelle, Pandora e Anesidora (che in alcuni miti sono la stessa persona), e dei due vasi, uno coi mali del mondo, l’altro col bene del mondo, ma la cosa non viene sviluppata, perché subito è evidente dove andrà a parare la trama. Perché se un vaso contiene il bene e l’altro il male, quale sarà utile inserire nella trama? Esatto, bravi! Quindi mi chiedo, a che pro mostrare la “pistola fumante“, se poi non le diamo una connotazione utile nella trama?

Dal punto di vista scientifico, sia la parte archeologica che quella medica non sono sviluppate come piacerebbe a me, ma riconosco che un eccesso di pignoleria potrebbe non essere gradito a un pubblico meno scientifico e più desideroso di avventura e trama avvincente. Ma anche dando per buono un excursus più superficiale, resta il fatto che la consequenzialità degli eventi che accadono a chi viene “afflitto” dalla trama, non è chiara. Non posso essere più specifica, perché farei spoiler, ma diciamo che i passaggi per cui alcuni che manco hanno visto il vaso in cartolina sbarellano e crepano male, mentre chi ci è stato col naso incollato sopravvive (indipendentemente dalla tuta e dalle mascherine filtranti) solo perché protagonista, non sono chiari e questo è disturbante, perché sembra di vedere il classico thriller soprannaturale americano in cui muore il nero, la cheerleader bionda, ma sopravvive il ragazzo belloccio col cane.

In conclusione, mi aspettavo di più dallo strillo e dalla quarta di copertina, ma se cercate qualcosa di leggibile, leggero e veloce, potrebbe piacervi.

COME LEGGERLO:

Luogo: in una grotta o comunque, seduti a contatto con la pietra o la sabbia

Tempo: estate

Sapori: agnello alla griglia

Profumi: petricore

Musica: antica tradizionale greca

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